JESI – Il vecchio ospedale Murri per isolare i malati di coronavirus – sia quelli diagnosticati a domicilio che quelli ricoverati e poi dimessi – che non possono restare in quarantena a casa. La proposta è del sindaco Massimo Bacci, che ha scritto una lettera al presidente della Regione, Luca Ceriscioli per accordare tale possibilità.
«I medici di famiglia di Jesi e della Vallesina – evidenzia Bacci – mi hanno espresso la forte criticità legata al fatto che i pazienti Covid-19 positivi, sia quelli diagnosticati a domicilio che quelli ricoverati e poi dimessi, necessitano di isolamento domiciliare e di particolare attenzione nell’evitare il contatto con il restante nucleo familiare per scongiurarne la diffusione del contagio. Purtroppo, in molte situazioni, ciò non è possibile in quanto tali pazienti vivono in appartamenti che, per metratura e disposizione di locali interni (camere da letto, bagno, ecc.), non permettono il rispetto dei requisiti minimi di sicurezza. Ritengo che l’ex ospedale Murri – in particolare il quarto piano dove sono presenti numerose stanze – possa fare al caso».
Per questo motivo, il sindaco ha scritto alla Regione suggerendo proprio «che venga individuata tale soluzione come sede per l’isolamento dei pazienti Covid-19. È una soluzione economicamente sostenibile, ritenuta più che valida dagli operatori sanitari e con una interessante prospettiva futura perché, finita l’emergenza, questa struttura potrà ospitare posti di Rsa o comunque essere destinata ad altri soggetti fragili che hanno bisogno di assistenza continua».
Nella lettera – che ha come premessa l’auspicio di un coinvolgimento diretto dei sindaci nelle misure della cosiddetta “fase due” – si evidenzia, accanto agli aspetti socio-economici, l’importanza mettere in condizione i Comuni di poter meglio assolvere sia al proprio ruolo istituzionale che anche a quello di coordinamento di talune azioni specifiche connesse al contenimento del contagio. «Da tre settimane attendo risposta alla richiesta affinché anche a Jesi possano essere individuate strutture in grado di ospitare sia il personale sanitario impegnato nell’emergenza Covid-19 che giunge da fuori città o che comunque vuole evitare un contatto diretto con i propri congiunti, sia per i pazienti Covid-19 che escono dal ricovero ospedaliero e hanno difficoltà a trovare una allocazione che non sia la propria abitazione, spesso insufficiente per mettere in sicurezza i familiari presenti. Anche nella cosiddetta “fase 2”, del resto, sarà importante non solo mantenere il distanziamento sociale, ma anche permettere ai pazienti Covid-19 in via di guarigione di rimanere isolati dal contesto familiare e da altri contatti per evitare ulteriori contagi».
Sul tema è intervenuto qualche giorno fa anche Guglielmo Cherubini, medico di famiglia: «Sul territorio siamo il primo presidio sanitario, siamo in prima linea, ma purtroppo siamo sprovvisti di qualsiasi dispositivo di protezione individuale (DPI). Non possiamo pertanto intervenire direttamente ogni qualvolta si presenti un caso sospetto di Covid -19 e, in questo momento, qualsiasi episodio febbrile è potenzialmente riconducibile a questa infezione. Monitoriamo telefonicamente, anche più volte al giorno, tutti i casi sospetti, ci confrontiamo telefonicamente con il Dipartimento di Prevenzione per la richiesta dei tamponi, chiamiamo il 118 quando le condizioni cliniche dei nostri pazienti rendono necessario il ricovero. Avremmo potuto, al contrario, se ben equipaggiati, fare da miglior filtro selezionando solo i casi che effettivamente avevano necessità del ricovero ospedaliero, riducendo così anche gli accessi inutili al Pronto Soccorso, dove tra l’altro è alto il rischio di contagio. Purtroppo, in questo siamo stati abbandonati ed abbiamo autonomamente riorganizzato il nostro modo di lavorare».