ANCONA – Si muove anche nelle Marche la protesta dei trattori che ha interessato a macchia di leopardo diverse zone della regione, come Pesaro, Porto San Giorgio, Osimo e Jesi. Numerose le rivendicazioni degli agricoltori che si ritengono danneggiati dalle politiche agricole della Unione Europea.
Una protesta divampata in Francia che si è poi estesa a macchia d’olio in Germania, Belgio, Romania, Polonia e in Italia. A mettere in marcia i trattori sulle strade di mezza Europa alla volta delle capitali, sono le misure con cui l’Ue cerca di rendere più sostenibile il mondo dell’agricoltura.
«La piattaforma della protesta degli agricoltori non è molto chiara ed è diversa da Paese a Paese» spiega il professor Roberto Esposti, docente di Politica Economica dell’Università Politecnica delle Marche, evidenziando la concomitanza di due aspetti che «incidono sulla protesta», da un lato «la nuova politica agricola comunitaria (PAC) ha preso avvio a gennaio del 2023» e quindi gli agricoltori «stanno vedendo ora gli effetti di alcune novità», dall’altro ci sono «le elezioni europee a giugno e quindi cercano di sfruttare l’appuntamento elettorale per rivendicare alcuni cambiamenti».
Le politiche europee sono normalmente settennali ma l’attuale fase è iniziata nel 2023 invece del 2021 (anche causa Covid). La discussione sulla PAC post-2027 deve ancora formalmente iniziare, anche se la riflessione sta partendo tra gli addetti ai lavori. Il nodo della questione, spiega il docente, «è il Green Deal europeo» che conta diverse partite, fra le quali c’è quella della riduzione dei fitofarmaci in agricoltura e quello della protezione degli habitat naturali. Sul pacchetto relativo ai fitofarmaci la presidente della Comunità Europea von der Leyen ha già annunciato un passo indietro.
Ma la questione è più ampia, ricorda Esposti, e il fronte della protesta si muove su diverse questioni: «Gli agricoltori ricevono ogni anno qualcosa come 50miliardi di euro di trasferimenti dalla PAC, in media un agricoltore europeo riceve circa un 25% del suo reddito dalla PAC», ma queste risorse sono legate ad alcune condizionalità tra le quali la messa a riposo di una quota di terreno agricolo pari al 4%, «una buona pratica agronomica – evidenzia – che però i grandi coltivatori sono soliti attuare. Il nodo è che da un lato c’è il mondo agricolo che rivendica il diritto a ricevere soldi dall’Unione Europea senza voler essere condizionato, dall’altro c’è il resto della comunità che deve impegnarsi a conservare l’ambiente in cui vive».
Uno sforzo, quello sul fronte della tutela dell’ambiente, che secondo il professore Esposti deve essere corale in quanto «un terzo del bilancio della Comunità Europea va agli agricoltori e non ad altri settori che pure avrebbero bisogno di sostegno, per cui è chiaro che queste risorse devono essere giustificate e comportare un impegno verso la transizione ecologica che non può escludere nessuno. Per questo credo che le richieste del mondo agricolo sul PAC non siano giustificate».
Diverso il discorso sul tema degli accordi di libero scambio con i Paesi extra Ue «che favoriscono una concorrenza sleale da parte dei prodotti importati da altri Paesi che non sono costretti a rispettare le norme ambientali e sociali che debbono rispettare i nostri agricoltori. In questo caso la loro richiesta è legittima, ma non riguarda solo il mondo agricolo perché sono diversi i settori convolti. Gli agricoltori – prosegue – hanno ragione anche a rivendicare un intervento della politica agricola comunitaria sul tema dei rapporti di filiera: a loro rimane meno del 20% del valore – conclude – bisognerebbe intervenire sui settori a valle, a cominciare dalla grande distribuzione».