SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Aggressione omofoba a Bologna: nel mirino, anche un ragazzo di San Benedetto del Tronto. Attimi di paura, sabato sera, nel capoluogo emiliano romagnolo per una coppia gay a bordo di un bus della linea 29. Linea, questa, che collega il rione Navile al centro cittadino.
A ripercorrere la vicenda è proprio Francesco (nome di fantasia, ndr), il 22enne marchigiano che vive e studia da anni a Bologna: «Erano circa le 22.40 quando io e il mio coinquilino siamo usciti di casa per prendere la navetta e raggiungere la città. Una volta saliti sul bus, siamo rimasti in piedi al centro del mezzo».
È buio, sono quasi le 23 e dal fondo dell’autobus partono insulti di ogni tipo, a sfondo omofobo: «Ci urlavano contro ricc*ioni e f***i. Una cosa simile, a me, era già successa a San Benedetto, nella mia città, quando delle ragazze hanno cominciato ad inveire contro di me tributandomi insulti omofobi. Stavolta però – prosegue – l’aggressione è stata più plateale».
«Il gruppo di giovani (6 o 7 in tutto), spavaldo e dall’aria minacciosa, avrà avuto pochi anni meno di noi, sui 18 o 20. Siamo stati insultati per tutta la durata del tragitto, circa 10-15 minuti. Noi abbiamo provato ad ignorarli: sia io sia il mio coinquilino parlavamo come se niente fosse. Non volevamo che la situazione degenerasse. Per ipotesi, avrebbero pure potuto avere un coltello. Se abbiamo avuto paura? Sì».
A bordo del mezzo, c’erano pure due ragazze: «Non hanno fatto nulla, ma non le biasimo per questo. Forse, hanno reagito così per la nostra stessa ragione, evitare cioè che la situazione peggiorasse. Mi auguro solo che se la situazione si fosse fatta più seria, allora sarebbero intervenute».
I due ragazzi non hanno fatto nulla di strano, come conferma Francesco: «Io ero vestito con un completo in ecopelle nero e sotto avevo una canotta. Il mio amico indossava pantaloni con toppe marroni e camicia beige».
D’un tratto, la navetta si ferma e i bulli si alzano. «Fanno per scendere, ci passano davanti con aria di sfida, continuando ad insultarci. Uno della comitiva mi urta, provando a far cadere il cellulare che tenevo in mano, senza riuscirci. Poi, scendono, si voltano e alzano il dito medio».
Il «bagliore di luce», come dice Francesco, è arrivato dall’autista del mezzo pubblico: «Prima che scendessimo, ci ha rassicurato dicendo di aver sentito tutto, che quei ragazzi li conosceva. ˈSe dovesse accadere di nuovo – ha detto – me lo dite, fermo il bus e chiamiamo la poliziaˈ. Ma cosa potrebbe accadere in attesa dei soccorsi, su un bus, al chiuso, coi tuoi aggressori vicino?».