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Report imprenditorialità Marche: imprese in calo, vivacità start-up, aziende rosa in difficoltà

Una fotografia importante quella scattata dalla Fondazione Aristide Merloni di Fabriano nella quale si evidenziano i punti di forza e quelli deboli del tessuto produttivo marchigiano, con un focus particolare per le aree colpite dal sisma dell'agosto-ottobre 2016

FABRIANO – Una fotografia importante sull’imprenditorialità nelle Marche è stata scattata e divulgata questo pomeriggio, 4 ottobre, dalla Fondazione Aristide Merloni a Fabriano. All’interno del Palazzo del Podestà alla presenza, fra gli altri, del presidente della Fondazione, Francesco Merloni e del suo vice Gian Mario Spacca.

«Nell’arco degli ultimi dieci anni, la nascita di nuove imprese è passata da circa 12mila a poco più di 8.000 nel 2018. La riduzione dei tassi di natalità imprenditoriale è stata più rapida nella Regione rispetto a quanto osservato nella media italiana. A ciò contribuiscono fattori strutturali, come il progressivo invecchiamento della popolazione, e fattori congiunturali, come la riduzione delle opportunità determinata dal prolungarsi della crisi. Dopo una parziale divergenza positiva osservata nel 2016 e nel 2017, lo scorso anno si è assistito a un nuovo brusco calo», ha evidenziato Donato Iacobucci del Centro per l’innovazione e l’imprenditorialità. A livello regionale, quasi un terzo delle nuove imprese riguarda attività nel commercio, in particolare quello al dettaglio. Seguono le costruzioni, l’industria manifatturiera e i servizi di alloggio e ristorazione.

In controtendenza, le aree colpite dagli eventi sismici dell’autunno 2016, «dove si è avuta un’accentuazione della vivacità imprenditoriale, più evidente nel 2017, in parte confermata nel 2018. L’incremento della natalità d’impresa ha riguardato in particolare i settori del commercio, delle costruzioni e dei servizi professionali. Tale fenomeno è in parte determinato dalle agevolazioni e dagli incentivi all’attività imprenditoriale in queste aree, e in parte dallo spirito di reazione della popolazione».

Le Marche continuano a caratterizzarsi per una maggiore vivacità imprenditoriale nelle attività manifatturiere e nei settori high-tech, grazie a un forte e diversificato sistema manifatturiero che favorisce la trasmissione delle competenze e alimenta la domanda di prodotti e servizi intermedi. A fine 2018 risultavano iscritte e presenti nel registro come start-up innovative 338 imprese, pari al 3,6% del totale nazionale. Le province che mostrano la maggiore vivacità sono Ascoli Piceno e Ancona, seguite da Macerata, Pesaro e Fermo. «La maggiore vivacità di attivazione imprenditoriale nei settori high-tech è confermata dall’elevato numero di start-up innovative e spin-off universitari, imprese che si caratterizzano per l’elevata qualità del capitale umano impiegato e per l’elevato tasso di innovazione. La problematica principale per queste imprese rimane quella della crescita poiché è carente nella Regione la presenza di operatori finanziari specializzati e sono limitate le partnership con le imprese del territorio», è stato evidenziato.

Nel caso delle Marche la maggiore presenza di start-up innovative è rilevata nei comuni di Ancona, Ascoli Piceno, Pesaro e Jesi. Seguono comuni contigui a queste aree, come Fano e Osimo, o caratterizzati dalla presenza di atenei: Macerata, Camerino. Start-up innovative e spin-off universitari sono attive nei settori dell’informatica, dei servizi di ricerca e sviluppo e nelle attività manifatturiere. «Quest’ultimo va senz’altro interpretato come segnale positivo della capacità delle nuove iniziative di sfruttare le competenze presenti nel diversificato sistema manifatturiero regionale».

Tasto dolente, in ultimo, il notevole gap di genere nell’attivazione di nuove imprese, anche nella Marche. «La propensione imprenditoriale nella popolazione adulta femminile è la metà di quella maschile. Tale divario è ancora più accentuato per le imprese ad alto contenuto di conoscenza. Per quest’ultimo aspetto conta la scarsa presenza femminile nei percorsi di laurea STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica)». Le Marche hanno una percentuale di imprese femminili maggiore rispetto alla media nazionale: 22,99% contro 21,93%, sebbene registrino una diminuzione di 181 imprese nel saldo imprese femminili registrato tra il 2017 e il 2018: a fine dicembre sono nate 2.285 imprese femminili. Il 27,6% nella provincia di Ancona con una incidenza molto forte delle imprese che si occupano di commercio del 26% e di attività di servizio di alloggio e ristorazione del 14%; il 22,6% nella provincia di Macerata che registra una incidenza delle attività commerciali del 24%, seguita da un 14% nel settore agricolo e un 12% nel settore manifatturiero; il 21,4% nella provincia di Pesaro e Urbino che registra una incidenza delle attività nel settore commerciale del 25,4% e il 14% nelle attività di servizio di alloggio e ristorazione; il 15,4% nella provincia di Ascoli Piceno con una prevalenza del settore commerciale 20% e agricolo 14%; il 13% nella provincia di Fermo dove la maggioranza delle imprese nascono nel settore manifatturiero 23,5%, seguito dal commercio 21%.

«Per colmare il gender gap tra imprenditoria femminile e maschile servono quindi più competenze digitali da parte delle donne. La formazione può aiutare a ridurre il gap non solo attraverso la laurea nelle discipline STEM, ma anche per diffondere un role model imprenditoriale al femminile diverso, attraverso lo studio e il racconto di donne che hanno avuto successo come imprenditrici e che potrebbero stimolare, ispirare e supportare l’azione di altre donne». Infine, andrebbero migliorati i servizi e le infrastrutture per aiutare le donne a entrare (o tornare) sul lavoro, per esempio asili o centri di assistenza per anziani, oltre a iniziative specifiche per sostenere l’imprenditorialità femminile come linee di finanziamento specifiche e formazione imprenditoriale in grado di fornire maggiori competenze e conoscenze per l’avvio di nuove attività.

 

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