SENIGALLIA – Riconosciuto il favoreggiamento ma non lo sfruttamento e nemmeno l’induzione alla prostituzione. Condannata a quattro anni M.F., la 42enne arrestata a marzo dello scorso anno, dopo un’operazione dei carabinieri, con l’accusa di far prostituire una 16enne all’interno del suo camper, lungo la statale Adriatica. Dopo una camera di consiglio durata quasi un’ora, oggi il collegio penale del tribunale di Ancona, presieduto da Giovanni Spinosa, ha condannato la donna solo per il favoreggiamento. Il pm Ruggiero Dicuonzo aveva chiesto una condanna a sei anni e mezzo per tutti i capi d’imputazione.
La vicenda era esplosa lo scorso anno. Erano stati i genitori della minorenne, che all’epoca dei fatti aveva 16 anni, a far partire l’indagine. Il papà e la mamma della ragazzina sospettavano che la figlia fosse finita in un giro di baby squillo. A motivare questo sospetto era stato un file audio, diffuso su internet, nel quale la figlia pubblicizzava il prezzo delle prestazioni sessuali. Così erano partiti una serie di accertamenti, soprattutto sul traffico telefonico della minore e della 42enne. Il periodo della prostituzione ha riguardato un arco temporale da novembre 2016 a gennaio 2017. In quel periodo, la 16enne era stata ospitata in comunità minorile della regione da dove però si era allontanata.
Dagli accertamenti d’indagine era emerso il legame tra la 16enne e la 42enne, finalizzato all’attività di prostituzione tanto che la donna è stata arrestata a marzo dell’anno scorso per sfruttamento, induzione e favoreggiamento. La donna, stando all’accusa, aveva messo a disposizione della ragazzina il suo camper, un Iveco Laika e si sarebbe attivata anche per trovarle clienti. Tutte accuse che la donna ha sempre respinto.
Ora dovrà risarcire i genitori della minore, che si sono costituiti parte civile, di 2mila euro ciascuno. Altri 10mila euro di risarcimento sono stati riconosciuti alla ragazzina. Le motivazioni della sentenza usciranno tra 90 giorni. L’avvocato Ruggero Tomasi, che difende la 42enne, potrebbe ricorrere in appello.