ANCONA – «Continuate a fidarvi delle istituzioni e a denunciare». È questo il messaggio rivolto alle donne vittime di violenza da Licia D’Amico (Studio Legale Galasso – D’Amico di Roma), legale difensore dei figli di Marianna Manduca, la donna uccisa a coltellate il 3 ottobre del 2007 a Palagonia (Catania) dal marito Saverio Nolfo. Il 19 marzo è arrivata la sentenza della Corte di Appello che ribalta la precedente sentenza di primo grado e stabilisce che i figli della donna dovranno restituire il risarcimento loro concesso, ovvero 260 mila euro. Inoltre nella sentenza (198/2019) è stato stabilito che “l’epilogo mortale della vicenda sarebbe rimasto immutato”, anche se i giudici avessero allontanato il marito dalla moglie. Per quanto riguarda il ruolo della Procura, stando a quanto si legge, nella sentenza l’omissione sarebbe stata “eziologicamente inefficiente poiché la perquisizione e l’eventuale sequestro del coltello non avrebbe impedito la morte della giovane mamma”. L’uomo era determinato ad uccidere la donna, come spiega la Corte di Appello, a cui lo contrapponeva una “durissima battaglia legale per l’affidamento dei bambini”.
I tre figli della vittima di uxoricidio, il maggiore dei quali compirà 18 anni ad agosto, sono stati adottati dal cugino di Marianna e da sua moglie, i coniugi Calì. La famiglia, insieme ai figli della donna, vive a Senigallia, dove i ragazzi si sono ricostruiti una nuova vita. Il padre si trova invece in carcere dove deve scontare 20 anni.
Una sentenza che fa discutere e che ha lasciato sconcertati i legali della famiglia Calì, Licia D’Amico e Alfredo Galasso, che hanno già annunciato di voler presentare ricorso in Cassazione.
«Esistono diverse chiavi di lettura di questa sentenza – commenta l’avvocato Licia D’Amico – una chiave umana e poi quella tecnico – giuridica. Dal punto di vista tecnico la sentenza è sbagliata, non si può dire che era un omicidio inevitabile e che qualunque cosa la Magistratura avesse fatto per impedire non ci sarebbe riuscita e non avrebbe potuto impedire questo omicidio. In realtà l’obiettivo primario di questa sentenza è quello di rovesciare la sentenza di primo grado che aveva affermato una responsabilità dei Magistrati della Procura di Caltagirone che per negligenza e disattenzione non aveva dato seguito alle 12 denunce della giovane Marianna».
In primo grado, infatti, la Procura di Caltagirone era stata giudicata inizialmente colpevole di “inerzia”, sostanzialmente di non aver dato seguito a quelle segnalazioni sulla violenza del marito di Marianna.
«Una sentenza che lascia passare un messaggio pericolosissimo nei confronti delle donne – spiega il legale – perché qualunque cosa si dica alle donne, denunciate, esponetevi, trovate il coraggio, poi l’epilogo è inevitabile. In questo modo si dice alle donne minacciate che la loro morte è inevitabile, rischiando di ricacciare le vittime in un isolamento da cui poi non si esce».
Sulla questione della restituzione della somma concessa in primo grado ai figli della Manduca per rifarsi una nuova vita, l’avvocato D’Amico spiega che il 2 agosto 2017 il Governo italiano emanò un comunicato dove «dichiaravano l’intenzione di manifestare la massima sensibilità nei confronti di una vicenda così particolare, non escludendo nemmeno l’ipotesi di una desistenza da qualsiasi azione giudiziaria», ovvero rinuncia all’appello.
Invece, precisa il legale, «non solo non c’è stata la desistenza, ma si arriva come risultato finale ad una sentenza dove si legge non c’erano segnali di allarme, mentre c’erano 12 denunce dettagliatissime».
I figli di Marianna intanto sono cresciuti «grazie anche al sacrificio di questa famiglia», come spiega il legale: «Si parla di fondo e legge per la tutela degli orfani e poi in cosa si traduce tutto questo – si interroga l’avvocato – in una sentenza così. La prossima settimana faremo ricorso in Cassazione», conclude il legale.