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Smart working, un cambiamento irreversibile. Lo psicologo: «Si cerchino momenti di condivisione, anche in video»

Uno studio prospetta che il telelavoro possa prolungarsi anche dopo la pandemia. Ma il lavoro da casa ha avuto anche conseguenze negative, come l'aumento di disturbi da stress. Ne parliamo con lo psicologo anconetano Raul Bartozzi

diritto alla disconnessione, lavoro

ANCONA – La pandemia e il lockdown, soprattutto quello precedente di marzo-aprile, hanno favorito il proliferare dello smart working. Con il lavoro da casa, o da remoto come si suol dire, centinaia di migliaia di aziende hanno ovviato ai problemi di distanziamento proseguendo con l’ausilio della tecnologia il lavoro quotidiano. Tuttavia, secondo l’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, questa pratica non ci abbandonerà neanche al termine della pandemia. Tra pro e contro, sono tanti i pareri emersi a riguardo che rendono necessaria un’ulteriore analisi sul fenomeno in questione.

Ne abbiamo parlato con il dottor Raul Bartozzi, psicologo di Ancona che si occupa (tra le altre cose) di disturbi d’ansia, depressione, disturbi ossessivo-compulsivi, stress post-traumatici e può definirsi un esperto di autoregolazione emozionale per i disturbi psicosomatici e da stress.

Dottor Bartozzi, lo smart working come ha cambiato il modo di lavorare degli italiani?
«Quello che possiamo dire, che interessa anche il mio campo, è che sono aumentati i disturbi da stress. Il numero delle persone contente e gratificate dallo smart working è sicuramente inferiore di quello delle persone scontente che vivono male questo periodo. Da non tralasciare l’aspetto che lo smart working è strettamente collegato al discorso della pandemia, della quarantena, del Covid, per il quale non c’è mai stata un’associazione positiva da parte delle persone».

È d’accordo con gli studi del Politecnico di Milano sul fatto che ce lo porteremo dietro anche al termine della pandemia?
«Credo di sì. Spero e auspico che, una volta terminata la pandemia, gli esperti del mondo del lavoro concepiranno modelli di smart working simili a quelli stranieri per garantire un adeguato sviluppo di questa metodologia».

Il maggior utilizzo di dispositivi elettronici porta con sé delle controindicazioni?
«Mediche e, ovviamente, psicologiche. Il fatto di comunicare continuamente con uno schermo non è propriamente positivo. Manca il contatto con l’ufficio e con i colleghi, mancano le tonalità vocali delle comunicazioni che pure incidono. In sostanza è stato azzerato il transfer emozionale. Le riunioni in presenza, rispetto a quello online, sono tutta un’altra cosa e chiunque le preferisce. Perlomeno questi sono i riscontri che arrivano».

Lo smart working portatore di stati d’ansia?
«Sì, perché nell’arco della giornata non c’è una suddivisione dei momenti. Se ho un problema in casa e sono costretto a lavorare tra le mura domestiche quell’ansia e quella preoccupazione mi si sommano alla tensione del lavoro. Prima, quando si tornava a casa, ci si rilassava».

Che consigli si sente di dare ai lavoratori “domestici”?
«Intanto di aver il maggior numero di momenti di condivisione possibili, anche in video, che vadano al di fuori del lavoro. Come a voler simulare una pausa caffè. Non sappiamo nel tempo che danni ci saranno dall’uso/abuso dei mezzi elettronici, sarebbe importante anche limitarne l’uso extra-lavorativo dei dispositivi come pc, tablet e cellulari».