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Suicidi giovanili, fenomeno in crescita. Nelle Marche 1 caso ogni 4 giorni

Il suicidio è la manifestazione estrema e tragica di un disagio profondo, che a volte esprime anche un gesto d’accusa verso chi ci circonda. Cosa scatta nella testa di un giovane per arrivare a togliersi la vita e come possiamo riconoscere i segnali d'allarme? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Marianna Agostinelli

Nelle ultime settimane le Marche sono state scosse da due suicidi giovanili, che hanno interessato la provincia di Ancona. Motivazioni diverse quelle che hanno spinto due giovani a togliersi la vita nel giro di poche settimane l’uno dall’altra. Di certo due storie di disperazione e di disagio psicologico che sono sfuggite allo sguardo della società.

Una situazione difficile quella che vivono i ragazzi di oggi, che come spiega la pedagogista Annunziata Brandoni, non sono più felici come una volta.

Annunziata Brandoni, pedagogista, insegnante in pensione ex preside, scrittrice

«Pretendiamo troppo da loro, ritmi pazzeschi – spiega la Brandoni –  li mettiamo continuamente sotto pressione. È una generazione, come la definiscono alcuni sociologi, annoiata, a volte violenta, e con la tecnologia sempre in mano, ma nessuno parla dell’infelicità di molti di loro, invece sono sempre più diffusi i casi di depressione tra i bambini e i ragazzi. Una volta bastava una corsa sui prati per renderli felici, ma oggi a causa della vita frenetica non hanno più tempo per sé stessi. Li stiamo privando del diritto al gioco e al riposo. Le famiglie poi spesso hanno aspettative troppo elevate: se un figlio non va bene a scuola, arrivano perfino ad aggredire gli insegnanti, e molti ragazzi comunque si sentono inadeguati. A volte invece l’infelicità è legata al senso del rifiuto, dell’abbandono, e quando questi rifiuti si sommano diventa più difficile superarli, perché la frustrazione si accumula. Questo triste epilogo di due giovani vite mi richiama all’impegno di noi adulti a dare felicità ai nostri ragazzi. A questo proposito abbiamo da poco presentato al Governo un progetto, “La Città Educante”, per combattere la povertà educativa e restituire i sogni a questi ragazzi. Un progetto rivolto alla fascia di età dai 5 ai 14 anni, come richiesto dal bando e che coinvolge le scuole, il comune e diverse associazioni presenti sul territorio. Una intera città che si mobilita per dare un futuro di speranza ai suoi figli, specialmente a quelli più fragili».

Ma qual è la situazione dei suicidi in Italia? I dati mostrano che il fenomeno rappresenta un problema grave nell’ambito della salute pubblica, tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima un peggioramento del fenomeno suicidario: dall’attuale milione di morti si potrebbe arrivare a un milione e mezzo nel 2020. Una tragedia umana che colpisce più delle morti per attentati terroristici, delle guerre e delle calamità naturali messe insieme. Stando ai dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità, in Italia ogni anno, su circa 4.000 persone morte per suicidio oltre 3mila sono uomini. Lo stato civile è un fattore importante, i coniugati sono più protetti dal suicidio rispetto a single, vedovi o separati-divorziati.

Nelle Marche la situazione non è certo più rosea, si verifica in media 1 suicidio ogni 4 giorni, circa 6,2 suicidi ogni 100 mila abitanti, con un trend in aumento tra i giovani (dati Istat). Un fenomeno a spiccata stagionalità con un andamento crescente nella prima metà dell’anno, che raggiunge il picco massimo nei mesi di maggio, giugno e luglio, per poi decrescere nel secondo semestre. Le tre modalità più frequenti per “farla finita” sono l’impiccagione e il soffocamento (48,9%), la precipitazione (19,2%), l’uso di arma da fuoco e di esplosivi (11,3%).

Marianna Agostinelli, psicologa

Il suicidio è la manifestazione estrema e tragica di un disagio profondo, che a volte esprime anche un gesto d’accusa verso chi ci circonda. Una disperazione che passa sotto gli occhi di molti ogni giorno, senza che nessuno se ne accorga o voglia accorgersene. Tante le motivazioni di questo malessere che interessa in maniera trasversale la società in ogni suo ambito. Sempre più soli, pressati dalle richieste provenienti dall’ambiente e senza sostegni psicologici, i giovani si suicidano. Un fenomeno, quello del suicidio, che segna il fallimento di una società intera, spesso egoista ed edonista.

Ma si poteva capire prima? Cosa scatta nella testa di un giovane per arrivare a togliersi la vita? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Marianna Agostinelli, che ha gestito anche uno sportello di ascolto giovanile proprio sul disagio psichico.

Sentimento di disperazione, rabbia incontrollabile, ricerca di vendetta sono considerati fattori di rischio per il suicidio, come spiega Marianna Agostinelli, così come «agire in modo imprudente o rischioso e senza meditare sulle conseguenze di un certo comportamento, sentirsi intrappolati e sentirsi senza via d’uscita. Il rischio è poi associato anche al consumo di alcol e droga, allontanamento dalle amicizie, dalla famiglia, e dai contatti sociali. Ansia, agitazione, disturbi del sonno, si accompagnano spesso. Inoltre l’individuo riferisce frequentemente cambiamenti marcati del tono dell’umore, mancanza di motivi per vivere e il non riuscire a identificare il senso della vita».

Dottoressa Agostinelli, perché ci si toglie la vita?
«Secondo il dottor Maurizio Pompili, esperto mondiale in suicidologia, ci si toglie la vita per una delusione, per aver perso il lavoro, a seguito della perdita di una persona cara, per risultati scolastici non “all’altezza”. Purtroppo, la cronaca restituisce sempre più spesso storie di vite spezzate senza un vero motivo. La società di oggi ci chiede di essere belli, efficienti ed abili, insomma l’obiettivo è arrivare alla quasi perfezione, un obiettivo ovviamente vano e irrealizzabile che porta i giovani più sensibili a “sentire troppo “ il peso della loro inadeguatezza. Il suicidio è l’atto cosciente che pone fine alla vita di un individuo, che alle prese con una sofferenza estrema, considera il suicido come ultima e migliore soluzione per porre fine al suo dramma, laddove altre opzioni per risolverlo hanno fallito. Il suicidio si presenta nella mente del soggetto, che dapprima lo rifiuta per passare in rassegna altre possibilità, ma poi si ripresenta nuovamente, e dopo un certo numero di volte nelle quali la possibilità di risolvere il problema con altre opzioni fallisce, il soggetto finisce con il considerare il suicidio come la migliore soluzione. In questo contesto l’ingrediente base è il dolore mentale, insopportabile, nato da dispiaceri, vergogna, umiliazioni, fallimenti di vario genere. L’individuo vive in uno stato mentale del tutto particolare, nel quale non c’è mai quiete, né possibilità di fare scelte ponderate; questo stato è detto “stato perturbato”. Spesso, la sofferenza mentale viene tollerata per mesi o per anni e il soggetto giunge ad uno stato tale in cui anche eventi di minore entità possono far precipitare la sua condizione e condurlo al suicidio. Capita spesso, come anche alcuni autori della letteratura sul suicidio sottolineano, di osservare soggetti che nell’aver tentato il suicidio presentano la loro miseria umana fatta di sconfitte e ferite e non necessariamente i sintomi della depressione, così come considerata dalla clinica psichiatrica.

È possibile attuare una qualche forma di prevenzione a livello sociale?
«Il suicidio si può prevenire ed è un dovere della società e di ogni singolo individuo fare qualcosa per prevenirlo. I governi della maggior parte degli stati del mondo ormai hanno adottato in maniera più o meno sistematica programmi atti a ridurre il numero dei suicidi. Ognuno dovrebbe saper riconoscere i segnali d’allarme per il suicidio.

Quali sono questi segnali?
«I segnali che denotano rischio di suicidio imminente sono: parlare del suicidio o della morte, affermazioni come “Magari fossi morto” o “Ho intenzione di farla finita”, oppure segnali meno diretti come “A che serve vivere?”, “Ben presto non dovrai più preoccuparti di me” e “A chi importa se muoio?”, isolamento da amici e famiglia, esprimere la convinzione che la vita non abbia senso e speranza, disfarsi di cose care, sistemare affari in sospeso, fare un testamento, alterazione delle abitudini del sonno e dell’appetito, diminuzione del rendimento scolastico o lavorativo, mostrare un miglioramento improvviso e inspiegabile dell’umore dopo essere stato depresso, trascurare l’aspetto fisico e l’igiene, improvvisa perdita economica, grandi fallimenti, disastri naturali, perdita delle aspettative future, convincersi che il destino li stia chiamando, volersi riunire con una persona cara in paradiso, inusuale partecipazione ad attività religiose rispetto al passato, lamentarsi continuamente di essere annoiati, essere letargici ed affermare “Non so cosa fare”, recenti perdite di persone care, separazioni violente, disoccupazione ed impossibilità a trovare lavoro, soprattutto tra i giovani, vittime di violenza domestica e abusi sessuali, gravi conflitti familiari, dimissioni ospedaliere recenti, aspettative grandiose, riposte su soggetti incapaci o non volenterosi di raggiungerle. Inoltre colui che minaccia di farsi male o di uccidersi, oppure lo desidera, ed è in cerca di mezzi come armi da fuoco, farmaci o altro, e che parla della morte, cosa insolita per tale persona, dovrebbe indurre la considerazione di un alto rischio di suicidio. Ovviamente questa “lista” va contestualizzata in quanto differente da persona a persona. Ma quello che ritengo più importante ai fini della prevenzione è che spesso le famiglie non conoscono i segnali ed è per questo che la prevenzione è importante.
Altra importante considerazione va fatta per i familiari sopravvissuti alla tragedia, i cosiddetti “survivors”, i cui sensi di colpa sono un peso insostenibile. Purtroppo oggi parlare di suicidio e creare eventi sulla prevenzione è molto difficoltoso, il tabù deriva dalla paura dell’effetto Werther cioè dalla paura dell’emulazione attraverso la modalità di manifestazione dell’informazione. È chiaramente fuorviante un’opinione del genere in quanto molto dipende dalla fonte che veicola l’informazione, i mass media ed i giornalisti hanno l’obiettivo dell’audience e del sensazionalismo, mentre gli eventi a carattere informativo e scientifico passano attraverso le dichiarazioni ed esposizioni di esperti che della parola fanno un veicolo di rispetto ponendo l’attenzione sul reale ed umano bisogno.

 

 

 

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