ANCONA – «Non mi hanno portato via solo mia sorella, ma hanno devastato anche la mia famiglia: ancora non mi rassegno alla sentenza emessa, pene che non rendono giustizia». È il commento di Francesco Vitali, il fratello di Benedetta, la 15enne di Fano tra le sei vittime della strade di Corinaldo, alle motivazioni della sentenza emessa dal gup Paola Moscaroli il 30 luglio scorso a conclusione del processo con rito abbreviato alla “banda dello spray”, che nella notte fra il 7 e l’8 dicembre 2018 spruzzò una sostanza urticante all’interno della discoteca Lanterna Azzurra di Corinaldo, dove morirono schiacciati dalla calca nel fuggi fuggi dall’interno del locale, 5 adolescenti e una mamma 39enne.
Secondo il giudice i sei componenti della banda, erano criminali seriali che operavano in squadre organizzate in maniera non stabile, ma con una strategia operativa consolidata. Per questo il giudice aveva condannato gli imputati della banda della Bassa Modenese a pene comprese fra i 10 e i 12 anni.
Ugo Di Puorto, Raffaele Mormone, Andrea Cavallari e Moez Akari.
Souhaib Haddada e Badr Amouiyah sono stati ritenuti colpevoli di omicidio preterintenzionale, lesioni personali anche gravi, singoli episodi di furti e rapine commessi in vari locali notturni d’Italia. Non colpevoli invece del reato di associazione a delinquere in quanto la loro organizzazione non è stata giudicata stabile.
Due le squadre che agivano abitualmente, secondo il giudice, una composta da Ugo Di Puorto, Raffaele Mormone e Eros Amoruso (deceduto in un incidente stradale e per questo mai arrivato a processo), e l’altra da Andrea Cavallari e Moez Akari, mentre gli altri due membri della banda, Souhaib Haddada e Badr Amouiyah, agivano con entrambe per mettere a segno i furti di collane e altri preziosi nei locali, approfittando della distrazione provocata dallo spruzzo della sostanza urticante. Una tecnica che il gruppetto aveva ormai consolidato, ma che all’interno della Lanterna Azzurra provocò i 6 morti e oltre 200 feriti.
Il fratello di Benedetta Vitali, non si dà ancora pace che non sia stato riconosciuto il reato di associazione a delinquere perché il gruppetto criminale «era chiaramente una banda, come fin da subito sono stati classificati, avremmo preferito che avessero riconosciuto le pene proposte dai pm Bavai e Gubinelli: questa sentenza non rende giustizia alle sei vite strappate».