Uber, l’azienda di trasporto automobilistico privato, è nuovamente nell’occhio del ciclone. Dopo la lunga disputa con i tassisti di tutto il mondo, pare che la società di Travis Kalanick si sia di nuovo attirata le antipatie dei consumatori.
Molti fedeli fruitori del servizio di carsharing stanno disinstallando l’applicazione dai loro smartphone, documentando il tutto con screenshot e hashtag #DeleteUber (cancella Uber, appunto). Ma qual è il motivo?
Per risalire alla ragione della protesta mediatica, bisogna fare un passo indietro. È tristemente noto a tutti il recente blocco del neo insediato presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, all’immigrazione da sette paesi a maggioranza islamica. Rifugiati, regolari residenti, con tanto di green card, e addirittura cittadini sono rimasti bloccati per ore in aeroporto e addirittura un bambino di 5 anni è stato ammanettato e trattenuto come un criminale. In molti si sono ribellati, compresi i tassisti di New York, che hanno indetto uno sciopero e sospeso il servizio dalle 18 alle 19 del 28 gennaio.
A questo punto Uber, invitata a partecipare, insieme ad altre società di carsharing, decide – legittimamente – di non sospendere il servizio. Non solo, con un tweet, informa i clienti che sarà fatto uno sconto:
Surge pricing has been turned off at #JFK Airport. This may result in longer wait times. Please be patient.
— Uber NYC (@Uber_NYC) 29 gennaio 2017
Nel “cinguettio” c’è scritto che Uber – proprio in concomitanza con lo sciopero – non avrebbe fatto pagare il sovrapprezzo proprio per le corse dal JFK, vanificando di fatto la rimostranza dei tassisti.
Immediata la reazione indignata delle persone, tanto da costringere il CEO dell’azienda, Kalanick, a tentare di correre ai ripari, condannando l’ingiustizia della decisione del tycoon e promettendo compensi ai dipendenti dell’azienda che sono stati danneggiati.
Ludovica Merletti