URBINO – Il mondo della cultura saluta il semiologo riminese Paolo Fabbri morto oggi all’età di 81 anni. Lascia a Urbino un’importante eredità dalle profonde e vitali radici.
Per il rettore Vilberto Stocchi, «dopo Carlo Bo e Pino Paioni, con Paolo Fabbri scompare l’ultimo fondatore del Centro di Semiotica che per decenni elesse Urbino quale punto di riferimento per la cultura internazionale. Memorabili furono i seminari estivi con i più importanti studiosi europei, Roland Barthes e Cvetan Todorov solo per citarne alcuni, ai quali Fabbri e Umberto Eco facevano da amabili anfitrioni e che si traducevano in pubblicazioni che hanno lasciato il segno. Di questo e della sua affabile umanità saremo sempre debitori».
Il Consiglio scientifico del Centro Internazionale di Scienze semiotiche di Urbino ricorda Paolo Fabbri come «semiologo di fama mondiale, protagonista della intensa vita culturale del Centro di Semiotica di Urbino, fin dalla sua fondazione nel 1970. Dal 2013 era diventato Direttore del Centro Internazionale di Scienze Semiotiche, rivitalizzandone la tradizione e riportando Urbino al centro del dibattito internazionale degli studi semiotici, umanistici e sui linguaggi. L’Università di Urbino gli è grata per aver continuato la tradizione dei Seminari del Centro, che hanno formato generazioni di studiosi, e rappresentano ancora oggi un momento di confronto tra diverse discipline e tradizioni nazionali, che Paolo Fabbri ha saputo animare con ineguagliabile lucidità e capacità di creare connessioni. Tra le sue eredità ricordiamo anche i Quaderni di lavoro del Centro e la collana editoriale La tradizione del nuovo, curata da Paolo Fabbri nella consapevolezza che le tradizioni culturali debbano essere continuamente ritracciate e reinventate. Tra gli ultimi volumi quello dedicato al concetto di simbolo, che riattualizza un saggio di Umberto Eco, cui il centro di Urbino è dedicato. Per lui la semiotica era un progetto capace di creare reti e seminare idee al di là della disciplina, che ci insegna che è possibile lasciare tracce anche oltre il tempo che ci è concesso».
In nome dell’antica amicizia e stima, Umberto Eco lo rese personaggio del suo celebre romanzo Il nome della rosa nelle vesti di Paolo da Rimini, bibliotecario ed erudito soprannominato abbas agraphicus.