ANCONA – S’è appena conclusa a Verona l’edizione numero 56 del Vinitaly, rassegna internazionale del vino non solo italiano, cui le Marche guardano e hanno sempre guardato con grande attenzione, supportate dai numeri che anche quest’anno, in un panorama di generale flessione delle vendite, vedono i vini top delle Marche rappresentati dall’Istituto Marchigiano Tutela Vini in controtendenza. Di Vinitaly e vini delle Marche parla Michele Bernetti, presidente dell’Imt che era presente alla kermesse veronese con 38 cantine nello stand Marche più le altre sparse intorno.
Michele Bernetti, qual è il suo bilancio di questo Vinitaly?
«Un Vinitaly positivo, abbiamo avuto in generale tanto afflusso, e mi sembra anche un buon interesse sulle Marche. Tanta gente ha girato nello stand del consorzio, dove abbiamo organizzato anche diversi eventi per focalizzare l’attenzione su tutti i vini e tutte le denominazioni. Ho visto un certo entusiasmo, una certa positività, visto che venivamo da un periodo non certo positivo. Dobbiamo essere abbastanza soddisfatti».
Interesse dall’estero o più dall’Italia?
«C’è stata tanta Italia, ma anche dall’estero tanta gente, tant’è che Vinitaly ha fornito un documento ufficiale che parla di un 30% in più di operatori esteri registrati e ufficiali, forse un po’ meno dagli Stati Uniti e dall’Asia, ma ho visto anche australiani, insomma erano coperti tutti i mercati principali».
Cosa manca ancora, se manca qualcosa, al sistema vino delle Marche?
«Manca ancora quel posizionamento, quella percezione, anche dall’esterno, di valore che comunque i vini hanno, visto i tanti risultati e le classifiche che hanno incrociato le guide, con tre vini marchigiani nei primi dieci. C’è da lavorare per far percepire questa qualità e valore traducendolo in fatturato e prezzi di vendita del prodotto. Una strada da percorrere non facile, che deve percorrere la filiera ma anche tutta la regione che valorizza il proprio prodotto».
Un bene o un male avere due consorzi?
«Questa domanda mi viene fatta spesso, ma non ci si rende conto che siamo già un’eccezione, nelle altre regioni ci sono consorzi per singole denominazioni, noi siamo un’eccezione virtuosa. L’Imt raggruppa 16 denominazioni, le altre sono consorziate nel Consorzio Vini Piceni, già abbiamo aggregato tanto. Siamo già una regione vista come esempio. Tant’è vero che i siciliani ci sono venuti a trovare per capire come fare un percorso come il nostro. È già un risultato averne solo due, le Marche sono un esempio di aggregazione, stiamo collaborando molto bene. E poi abbiamo uno strumento che si chiama Food Brand Marche che è un veicolo molto importante, che mette insieme il vino e i prodotti tipici del distretto del cibo, aggregazione unica regionale».
Attrattività verso l’estero: qual è la classifica del vino marchigiano rappresentato da Imt?
«È anche una questione di superficie in ettari: il Verdicchio dei Castelli di Jesi, la denominazione più grande e più nota, ha un export intorno al 35-40%, Matelica più piccola ma con un quota simile, sono due denominazioni che da sempre hanno fatto la storia. Le denominazioni come il Conero hanno una buona quota di estero, verso il 30%, anche il Lacrima, le altre si attestano su quote minori, ma con maggiori spazi di crescita. Non è facile essere noti. Sono dati di cui essere abbastanza contenti se si considera che il dato export Italia è attorno al 20%, almeno su queste denominazioni siamo posizionati bene».
Quali altri dati interessanti giungono da Vinitaly?
«Si registra un generale spostamento del consumo verso i vini bianchi, oggi il bianco, compreso lo spumante, supera il 50%, cosa molto diversa rispetto ad alcuni anni fa. Noi, come consorzio che rappresenta un 70% di bianchi, inteso come volume di produzione o superficie vitata, su questo trend siamo molto ben posizionati».
Quali sono le denominazioni più in crescita?
«La parte alta, le riserve dei Verdicchio Castelli di Jesi e Matelica, +30% da un anno all’altro. In un dato complessivo che vede una flessione delle vendite, allineato con quello del resto d’Italia, parlo dei dati 2023 sul 2022, incrementiamo il fatturato della fascia alta del mercato. Questo dimostra che c’è una percezione diversa del bianco diverso che non è più un’alternativa al rosso ma un’alternativa al consumo di qualità».