JESI – «Quasi ogni giorno ricevo telefonate da gente disperata, persone che hanno perso tutto. Non certo speculatori, ma pensionati, lavoratori, famiglie». Rabbia e delusione. Sono gli stati d’animo dei tanti azionisti di Banca delle Marche, oltre 43 mila, che hanno perso tutto dalla sera alla mattina. Cioè, quando il governo ha azzerato per decreto il valore delle azioni dell’istituto di credito. Fra coloro che più si stanno battendo per cercare di ottenere un risarcimento anche minimo c’è, senza dubbio, Bruno Stronati, ora vicepresidente dell’Associazione Piccoli Azionisti di Banca delle Marche, la quale raggruppa oltre 1.400 investitori (complessivamente gli azionisti privati detenevano il 32% del capitale sociale della banca).
Stronati, com’è la situazione?
«La nostra associazione si sta muovendo in varie direzioni. Abbiamo innanzitutto abbandonato la protesta nelle piazze, che è stata sempre ragionata e composta, e stiamo cercando un supporto dal mondo politico per tentare di ottenere qualcosa dalla vendita dei crediti deteriorati, messi sul mercato con una valutazione di molto inferiore a quanto potrebbero potenzialmente produrre. Il fallimento di Banca Marche è stato pagato purtroppo dai soli azionisti. Non parliamo di speculatori, o giocatori di borsa, ma di famiglie, pensionati, lavoratori, giovani coppie. Insomma, un disastro per questo territorio, che sta creando forti conflitti sociali. Siamo sempre stati costruttivi, formulando proposte e mettendo a disposizione le nostre competenze, ma la politica nazionale ci ha sostanzialmente ignorato. Ciò ha influito, secondo noi, anche sul risultato del referendum costituzionale».
Quella locale?
«Il sindaco Massimo Bacci e i partiti di maggioranza e opposizione sono i soli che ci hanno ascoltato, costituendo anche una commissione d’inchiesta. A Jesi si è ben compreso che la fine di Banca Marche sarebbe stata una tragedia per questo nostro territorio. Anche il consiglio regionale ha provato a fare qualcosa».
Come è stata gestita, a suo parere, tutta la vicenda?
«Malissimo. Più di una persona, secondo noi, avrebbe dovuto accorgersi di ciò che stava accadendo a Fontedamo. A partire dagli enti preposti, che invece sono intervenuti solo quando i buoi erano già scappati. Stiamo pertanto cercando una mediazione, vogliamo ciò che ci spetta. Avremmo pure accettato una riduzione del valore delle azioni, ma non l’azzeramento completo».
Luciano Goffi, ad di Nuova Banca Marche, ha dichiarato che “il più grosso rammarico è stato senza dubbio l’azzeramento delle azioni dei vecchi azionisti, un dispiacere grande, forse l’unico aspetto negativo in termini di ripercussioni sul territorio”..
«Goffi ci ha incontrato più volte, si è mostrato disponibile nei nostri confronti. Abbiamo un buon rapporto con lui, ma la sensazione è che, oltre a dover fare il proprio mestiere, aveva ben pochi poteri sulla questione specifica».
Che farete ora?
«Ci costituiremo parte civile nell’imminente processo penale riguardante tutti gli ex vertici della banca. Stiamo quindi preparando degli esposti contro coloro che hanno causato il disastro di Banca Marche. Abbiamo inoltre intenzione di vagliare ulteriori azioni legali in quanto gli associati spingono fortemente affinché si faccia piena luce sulla vicenda, anche chiamando in causa altri enti. Il territorio ha perso un mare di soldi. Abbiamo fatto davvero di tutto, siamo andati persino a parlare con il Papa. Ma non siamo mai scesi in piazza con tirapugni e bombe carta. Forse, alla luce di quanto successo di recente, avremmo ottenuto di più. Personalmente, comunque, non mi pento di ciò che la nostra associazione ha fatto. E non dispero».
Nuova Banca Marche sarà inglobata dal gruppo Ubi entro un anno. Come pensate di muovervi?
«Qualcuno se ne è già andato, sebbene l’esodo sia stato molto più contenuto rispetto alle altre banche con analoghi problemi. Noi restiamo fiduciosi, ci attendiamo qualcosa da Ubi. Chiudere i conti è sempre l’ultima spiaggia. C’è chi mi chiede di promuovere tale forma di protesta, vedremo. Per il momento attendiamo qualche segnale. Non ci importa da parte di chi. Per ritornare ad avere speranza nel futuro. Non si può lasciar morire così un territorio e ridurre in miseria le persone. Chi ci ha messo i soldi in Banca Marche è perché ci credeva ed era convinto di sostenere famiglie e imprese di questa regione. Vorremmo continuare a essere correntisti e clienti della banca, ma questo dipende dalla banca. Dipende da come si comporteranno nei nostri confronti».