Mesi estivi, tempi duri per chi mantiene, per vari motivi, un colorito della pelle pallido: «Sembri una mozzarella», «Sembri un cadavere», «Ma non vai al mare?» sono il leitmotiv che accompagna l’estate di chi non è abbastanza abbronzato.
A me, che faccio parte della schiera dei “visi pallidi” avendo una pelle che si scotta con grande facilità, è capitato di sentirmi dire da uno sconosciuto che transitava vicino a me, all’uscita da un ospedale: «Sei bianca che fai luce, e prendilo un po’ di sole!». Ci trovavamo – sottolineo – all’uscita da un ospedale: potevo benissimo essere una persona malata, una persona con gravi patologie o in corso di trattamenti per cui non è possibile esporsi al sole, magari una persona con un melanoma, magari una persona che da quella frase sarebbe rimasta ferita, eppure uno sconosciuto si è sentito in diritto di ironizzare, perché è un costume diffusissimo. Ma come mai essere abbronzati è diventato un must, e cosa rende questa caratteristica tanto agognata da moltissime persone?
Abbronzatura simbolo di benessere economico
L’abbronzatura è diventata una caratteristica desiderabile solo dopo il 1900. Prima era associata ai lavori umili come il lavorare la terra o altre opere di manovalanza che espongono alla luce del sole e segnalava pertanto l’appartenenza ai ceti meno abbienti. Al contrario, il pallore del volto e del corpo era associato a una condizione più benestante, tanto da essere anzi accentuato con i cosmetici, allo scopo di sottolineare la propria condizione privilegiata. Per molto tempo è stato quindi il pallore, e non l’abbronzatura, ad essere considerato uno status symbol desiderabile. Dopo la prima guerra mondiale cominciò l’inversione di tendenza: con lo sviluppo economico e turistico e lo spostamento delle attività lavorative in fabbrica, l’abbronzatura cominciò ad essere il simbolo della possibilità economica di viaggiare e condurre una vita agiata. Anche in medicina, per molto tempo l’esposizione ai raggi solari è stata considerata come una panacea per numerose patologie, e solo negli anni ’60 si sono avanzati i primi sospetti sulla sua pericolosità e sui danni acuti e cronici che poteva provocare.
Abbronzatura come salute e bellezza
Oggi l’abbronzatura è considerata dalla maggior parte delle persone uno status symbol. Cosa la rende così attraente e desiderabile?
-Un colorito dorato viene associato a un’idea di salute: un corpo abbronzato richiama vita all’aria aperta, attività, sport. In realtà è ormai assodato che i raggi solari sono un fattore di rischio per lo sviluppo di tumori della pelle, oltre a favore l’invecchiamento della pelle. L’abbronzatura artificiale è altrettanto pericolosa: l’uso del lettino abbronzante prima dei 35 anni aumenta fino al 75% il rischio di sviluppare cancro della pelle.
-L’abbronzatura è ritenuta esteticamente desiderabile perché definisce i lineamenti e fa sembrare il corpo più magro e tonico; una pelle abbronzata è considerata più sexy e attraente. D’altra parte, i raggi solari favoriscono la comparsa di rughe e accelerano l’invecchiamento cutaneo.
-L’abbronzatura richiama l’idea di vacanza, divertimento e relax.
–Mass media e pubblicità propongono insistentemente l’associazione abbronzatura=bellezza=seduzione.
–Rilascio di endorfine: la pelle sottoposta a esposizione prolungata al sole o a lampade artificiali rilascia endorfine, sostanze che contrastano il dolore e procurano una sensazione di benessere.
-La pressione derivante dal confronto con gli altri: conoscere e frequentare persone che amano abbronzarsi e che la ritengono una attività positiva, aumenta la probabilità che a propria volta si replichi lo stesso comportamento, sia perché portati a ritenere che, se lo fanno gli altri, sia bene farlo, sia per evitare giudizi negativi da parte degli altri. Accade molto frequentemente che una persona pallida nel periodo estivo venga schernita, fatta oggetto di battute ironiche, esortata ad abbronzarsi.
Quando il bisogno di abbronzarsi diventa patologico
Il desiderio di essere abbronzati può diventare una forma di dipendenza, definita tanoressia. La persona che presenta questo disturbo non si vede mai abbastanza abbronzata e cerca di esserlo sempre di più, ricorrendo all’esposizione solare e/o all’abbronzatura artificiale. Se non raggiunge il livello di abbronzatura che ritiene adeguato, prova ansia, insicurezza, calo del tono dell’umore: il suo benessere psicologico ruota solo intorno all’abbronzatura. Si tratta di una forma di dismorfismo corporeo, ovvero un’alterata percezione del proprio corpo: l’attenzione si concentra sul colore della pelle che diventa oggetto di preoccupazioni ossessive e non realistiche, la capacità di giudizio risulta alterata. Allo stesso tempo, è una forma di dipendenza perché presenta i caratteri tipici delle dipendenze: la persona pensa con eccessiva frequenza all’abbronzatura, trascurando anche impegni importanti; non riesce a smettere di esporsi al sole pur conoscendo i rischi a cui va incontro; se smette sente ansia/disagio significativi, ovvero avverte l’astinenza; è infastidita da chi sottolinea l’inadeguatezza del suo comportamento; sottovaluta la gravità della sua dipendenza. Riguarda soprattutto le donne tra i 25 e i 55 anni e si associa ad altre dipendenze, soprattutto al fumo di sigaretta. La tanoressia, oltre a procurare un disagio psicologico, espone la persona che ne è colpita a rischi consistenti per la propria salute, inducendola a esporsi in maniera eccessiva e senza protezione ai raggi solari.
La difficoltà di fare prevenzione dai danni dell’esposizione al sole
Le campagne di prevenzione non sempre risultano efficaci: il fatto di conoscere i rischi potenziali dell’esposizione al sole non è sufficiente a limitare il comportamento e a controbilanciare la gratificazione che esso offre. La fascia di età più difficile da raggiungere è quella adolescenziale, la più esposta ai danni alla pelle. Per gli adolescenti è particolarmente difficile sottrarsi a quella pressione sociale da parte dei pari di cui parlavamo sopra: nel gruppo, proteggersi dal sole e spalmarsi una crema protettiva sono spesso considerati comportamenti “da sfigati”. La crema è anche considerata scomoda e ingombrante, inoltre seguire i consigli dei genitori su come proteggersi dal sole contrasta col bisogno di mostrarsi indipendenti e spavaldi. Lo spauracchio del cancro alla pelle non fa nessuna presa sull’adolescente, perché è un rischio percepito come troppo lontano nel tempo: la gratificazione immediata prevale di gran lunga su conseguenze negative ipotetiche e non immediate. Inoltre l’adolescente tende di per sé a essere eccessivamente ottimista, a sentirsi invulnerabile, a credere che certi rischi non riguardino la sua persona. Non c’è quindi una percezione reale del rischio.
Le donne tendono a proteggersi di più dal sole. Si pensa che questo dipenda dal fatto che sono più consapevoli dell’effetto negativo del sole sull’invecchiamento cutaneo e dei rischi di sviluppare un cancro della pelle. Gli uomini tendono a usare meno le protezioni solari, le considerano scomode e anche poco virili, “roba da donne”, non congruenti con l’immagine di uomo sano, prestante. Anche per gli adulti, il rischio di sviluppare un cancro della pelle appare come un pericolo troppo lontano nel tempo per motivare comportamenti protettivi. L’uso di protezioni è invece favorito dalla presenza di persone significative che ne fanno uso e che fungono da modello positivo e dal conoscere personalmente qualcuno colpito da cancro della pelle, eventualità che permette di vedere le conseguenze tangibili dell’esposizione solare.
Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
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