A volte si manifesta con un’improvvisa, lucida consapevolezza e con una fermezza risoluta: «Adesso basta, ho deciso: si cambia». Altre volte nasce come una crisi inspiegabile, un periodo di dolorosa insoddisfazione o di ansia che sfocia in una presa di coscienza: «Non ce la faccio più così, deve cambiare qualcosa».
Per me che lavoro con malati gravi è una emozionante esperienza quotidiana, perché niente come una malattia grave che mette a rischio la vita è capace di illuminare come un faro i bisogni delle persone e di smuovere energie, rimuovere resistenze, abbattere ostacoli reali o mentali.
Durante i lunghi ricoveri a cui sono costretti i malati ematologici, arriva per molti, prima o dopo, il momento in cui li sento pronunciare le due parole magiche, «Adesso basta», con lo sguardo di chi ha ormai deciso e non tornerà indietro. «Fammi tornare a casa, e ti faccio vedere io, si cambia musica»; «Non sprecherò un minuto di più a pulire, penserò a me»; «Solo ora mi rendo conto di cosa ho sopportato per anni con mia suocera, ma ora basta, dovrà rispettarmi»; «Il mio lavoro l’ho sempre odiato, ma non me la sentivo di lasciare. Ora basta però, voglio fare per una volta quello che mi piace davvero»; «Mio marito anche stavolta non ha saputo starmi vicino. Ma ora basta, merito di meglio, oppure starò da sola, non importa».
Sono quasi sempre donne che hanno tollerato a lungo insoddisfazione, rabbia, conflitti familiari, veri soprusi, o che per diversi motivi si sono sacrificate per gli altri relegando in fondo le proprie necessità. Eventi di vita dirompenti, come appunto una malattia grave, sono in grado di lacerare il velo e di scoprire in tutta la loro crudezza i vuoti della propria esistenza, ma danno anche la spinta necessaria per affrontarle, quella forza che spesso nella routine quotidiana non abbiamo.
Altre volte non è così chiaro: le persone mi chiedono aiuto perché hanno l’ansia o si sentono depresse ma non sanno perché, e hanno bisogno di qualcuno che sostenga la torcia per illuminare mentre cominciano a vedere ciò che li fa soffrire, che li limita, che blocca le loro energie vitali, e per poter incanalare questo dolore perché diventi un’onda benefica che abbatte le resistenze a un cambiamento necessario.
«Se non mi fosse successo questo, non avrei mai trovato la forza per…»: gli eventi drammatici, la paura di morire, piuttosto che annientare la persona diventano al contrario il motore di un passo avanti benefico, necessario, desiderato anche, ma sempre rimandato.
«Avrei dovuto farlo molto prima», è il commento di tutti. Ma quando l’esistenza scorre relativamente serena nella routine, senza grandi scosse, senza eventi che costringano a fermarsi, a guardarsi, a interrogarsi sul senso della propria esistenza, si procede quasi ciecamente, «Perché tanto è così», «Perché tanto si fa così».
«Non è assurdo, dottoressa, che tocchi arrivare ad ammalarsi o rischiare di morire, per avere il coraggio di cambiare?». Tutti noi – come me -, che, da relativamente sani e risparmiati dai dolori della vita, abbiamo il privilegio di lavorare o stare con chi prima di noi affronta la paura e il dolore e se ne lascia trasformare in una direzione evolutiva, possiamo ringraziare il destino per questa occasione di vedere che si può fare, che si può cambiare, che non è vero che «Tanto è così». E tutti, senza aspettare che un evento drammatico ci costringa a fare i conti con noi stessi, possiamo imparare ad ascoltarci di più, a fermarci per sentire dove siamo, come stiamo, cosa ci manca, cosa ci trattiene dal vivere in un modo più autentico e vicino ai nostri bisogni. (Dott.ssa Lucia Montesi, Psicologa Psicoterapeuta – Piane di Camerata Picena (An) – Tel . 339.54289509)