Il mio primo ricordo d’infanzia è del Natale dei miei 4 anni: l’albero addobbato con gli animaletti della fattoria. Sono abbastanza certa che sia un ricordo vero e non suggerito dai miei genitori perché la scena corrisponde alla visuale ad altezza di bambina e perché ricordo benissimo intenzioni ed emozioni: mi ero scocciata di aspettare mamma per appendere le palline sull’albero e così decisi di procedere per conto mio con quel che avevo a disposizione, distribuendo diligentemente sui rami gli animaletti di plastica della fattoria, mentre mamma lavava i piatti di là. Una faticaccia farli stare in equilibrio, soprattutto il lupo (va be’, non è esattamente un animale della fattoria ma per l’occasione natalizia lo avevo magnanimamente unito al gruppo) che essendo striminzito cadeva di continuo, ma ricordo la soddisfazione del risultato finale e la trepidazione aspettando la reazione di mamma nel vedere la sorpresa. Custodisco gelosamente questo primo ricordo nitido, prima del quale c’è purtroppo il nulla.
Tutti dobbiamo sottostare alla spietata legge dell’amnesia infantile: impossibile ricordare qualcosa dei nostri primi mesi, molto difficile ricordare qualcosa del periodo antecedente ai tre anni. La maggior parte delle persone ha ricordi che partono dall’età di tre anni e mezzo, ma è possibile anche non ricordare nulla di tutto il periodo fino ai sei anni. Perché questo accade? Tuttora il fenomeno resta in parte misterioso, non c’è una spiegazione univoca ma sono state elaborate diverse ipotesi.
Secondo alcuni studiosi il linguaggio riveste un ruolo centrale nella possibilità che un ricordo si formi e permanga. Poter parlare di un fatto, di un evento, poterne fare una narrazione fornisce una struttura che agevola il ricordo di quell’evento. Si pensa quindi che prima dello sviluppo del linguaggio, fin verso i 2 anni, i ricordi siano poco stabili perché non sono organizzabili in forma narrativa e si basano solo su immagini. Inoltre poter parlare con altri di un evento e condividerlo ne aumenta l’accessibilità nella memoria. Tuttavia, questa spiegazione è messa in dubbio dall’osservazione che anche bambini sordomuti che non hanno appreso il linguaggio dei segni hanno i primi ricordi simili a quelli degli altri bambini.
Un’ipotesi chiama in causa l’ippocampo, struttura cerebrale coinvolta nella memoria e responsabile dei ricordi a lungo termine, ovvero quelli che manteniamo a lungo. L’ippocampo completa il suo sviluppo nei primi anni di vita e forse inizialmente non è in grado di accumulare ricordi. Una volta che l’ippocampo è sviluppato, possiamo avere ricordi a lungo termine. Il recupero dei ricordi infantili sarebbe reso difficile anche dal fatto che la memoria dei bambini piccoli è molto influenzata dal contesto e dal fatto che essi riflettono meno sui propri ricordi.
I bambini sotto i due anni non riconoscono ancora sé stessi allo specchio, non hanno coscienza di sé e anche questo, oltre all’assenza del linguaggio, ostacolerebbe la formazione di ricordi. In età successiva, in realtà anche i bambini piccoli ricordano benissimo, ad esempio a 4 anni sono in grado di ricordare perfettamente anche episodi di più di un anno prima. Però dopo i sei anni questi ricordi spariscono e da adulti non li ricordiamo più. Si è osservato che i sei anni sono una linea di demarcazione dopo la quale perdiamo la gran parte dei ricordi autobiografici. Allo stesso tempo, i sei anni sono il punto da cui tutti cominciamo ad avere dei ricordi. Si ritiene che questo accada perché tra i 5 e i 7 anni avviene una trasformazione nelle aree del cervello deputate alla memoria, una sorta di potatura in cui si perdono le vecchie connessioni tra neuroni e se ne organizzano di nuove, vengono eliminati ricordi vecchi per fare posto ai nuovi e la memoria diventa più efficace.
Si ipotizza anche che i ricordi infantili non siano scomparsi, ma siano immagazzinati da qualche parte nel nostro cervello senza che riusciamo a recuperarli. Tuttavia potrebbero esercitare un’influenza sulla nostra vita, come accade in caso di certi traumi che sembrano produrre delle conseguenze anche se non li ricordiamo.
Non tutti i ricordi che crediamo di avere della nostra infanzia sono reali. Molti di quelli che crediamo nostri ricordi d’infanzia sono in realtà ricostruzioni che facciamo sulla base dei racconti che ci hanno fatto, di video o fotografie. Facilmente ci suggestioniamo e crediamo di ricordare qualcosa. Sappiamo dagli studi effettuati che è molto facile creare dei falsi ricordi, di cui le persone sono invece convinte e che descrivono anche con grande vividezza.
Infine, l’età e il tipo dei primi ricordi sono influenzati anche dalla cultura di appartenenza. Un famoso studio della dott.ssa Qi Wang ha rilevato ad esempio che nella popolazione statunitense i primi ricordi risalgono in media a sei mesi prima rispetto ai primi ricordi nella popolazione cinese e sono ricordi più lunghi ed elaborati. Il record di precocità dei primi ricordi spetta però alla popolazione Maori, in cui si abbassa a soli due anni e mezzo. Si pensa che queste differenze dipendano dall’importanza che una certa società attribuisce al passato, ai ricordi del singolo individuo e delle vicende della famiglia. Una maggiore importanza si traduce in una maggiore attenzione prestata ai ricordi che i bambini rievocano insieme ai genitori, in una maggiore tendenza a elaborarli e approfondirli, a parlarne, così da aumentare la probabilità che sopravvivano nella memoria.
Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
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