La tristezza non gode di una buona fama. La consideriamo qualcosa di negativo e sbagliato da allontanare più possibile. Se vediamo una persona triste, che magari piange, di solito la incoraggiamo subito a tirarsi su, a reagire, a pensare positivo.
La tristezza è considerata sinonimo di debolezza e stride con l’immagine performante ed energica che la nostra cultura enfatizza. Ma, soprattutto, il timore diffuso è che concedere spazio alla tristezza significhi precipitare poi nella depressione, meglio quindi reprimerla immediatamente. Ma è un timore dettato da un fraintendimento: molti confondono infatti la tristezza con la depressione, anche a causa dell’uso scorretto che comunemente viene fatto del termine “depressione”.
Chiariamo quindi, per prima cosa, la differenza tra questi due concetti. La tristezza è un’emozione che fa normalmente parte del corredo delle emozioni fondamentali di tutti gli esseri umani, insieme, ad esempio, a gioia, rabbia e paura. Le emozioni sono funzionali alla nostra sopravvivenza e sono tutte necessarie per il nostro benessere. È vero che tristezza e depressione sono entrambe caratterizzate da un calo dell’umore, ma la depressione è un vero disturbo dell’umore, una patologia, con una serie di sintomi precisi che vanno oltre il calo dell’umore, quali la perdita del piacere e dell’interesse per le abituali attività, difficoltà di concentrazione e a prendere decisioni, rallentamento sia del pensiero che dei movimenti del corpo o all’opposto agitazione psicomotoria, stanchezza, perdita o aumento dell’appetito, insonnia, pensieri di morte, sensi di colpa e una valutazione negativa di sé stessi.
La durata è diversa: la tristezza è momentanea o di breve durata, mentre la depressione ha una durata maggiore, per definizione i sintomi descritti prima devono essere sempre presenti per almeno due settimane.
Di solito la tristezza ha un motivo preciso e facilmente identificabile, mentre la depressione è più pervasiva. La tristezza è sgradevole ma la persona di solito riesce a portare avanti la sua vita quotidiana, mentre la depressione comporta una compromissione molto più significativa, con l’abbandono e l’incapacità di portare avanti le consuete attività.
La tristezza è suscettibile di essere modificata e attenuata ad esempio da una bella notizia o da un’attività che ci piace, non impedisce di sorridere e ridere e di avere speranza per il futuro, mentre nella depressione non si vede una via di uscita, il pessimismo è così intenso da impedire di prospettare una soluzione o un miglioramento.
Dunque, una volta escluso di essere in presenza di una depressione e quindi di un disturbo che deve essere curato, consideriamo invece gli aspetti benefici ed utili della tristezza.
La tristezza è una risposta normale e sana alle situazioni che ci fanno soffrire, come perdite, fallimenti, delusioni, cambiamenti che comportano la fine di qualcosa di importante, ed ha una funzione adattiva ed evolutiva. Sentirci tristi dopo un fallimento ci permette di rivedere quell’esperienza, riflettere sugli errori fatti e trarne insegnamento. La tristezza ci segnala le situazioni che possono procurarci sofferenza, da cui faremmo bene ad allontanarci, o al contrario ci fa mettere a fuoco quello che ci manca, che vorremmo. Se qualcuno ci tratta male o ci ferisce, sperimentare la tristezza ci aiuta a valutare l’opportunità di quella relazione, a sottrarci a situazioni dannose, a proteggerci. Se proviamo il malessere della tristezza in risposta a situazioni della nostra vita, siamo anche spinti a cambiarle, ad attivarci per ottenere condizioni migliori.
La tristezza fa avvicinare gli altri. Se abbiamo uno sguardo triste, se piangiamo, è probabile che le persone intorno a noi (i familiari, il partner, gli amici, ma a volte anche gli estranei) si attivino per portarci aiuto e conforto. È quindi un mezzo molto potente per ottenere supporto sociale, che a sua volta è una risorsa molto utile per affrontare gli stress.
La tristezza ci induce a fermarci, a raccoglierci in noi stessi, riflettere sul senso di quello che ci accade. Di fronte a uno stress come una malattia grave, ad esempio, permette di fare i conti con le perdite che questa comporta, di poterle piangere e in questo modo elaborarle e integrarle nella propria storia.
Prima di arrivare ad una autentica accettazione degli eventi dolorosi che ci accadono, è necessario attraversare delle fasi emotive che seguono una sequenza tipica, e, non a caso, è proprio la possibilità di vivere e sperimentare la tristezza per ciò che è cambiato o che è stato perduto, che prelude all’approdo a una più serena accettazione.
Perciò è importante che la tristezza possa emergere, esprimersi e compiere il suo importante lavoro. Del resto, come le altre emozioni, compare spontaneamente e non possiamo evitare che affiori. La lotta contro di essa per impedirle di emergere diventa essa stessa un problema e finisce per far sentire in colpa: «Non devo essere triste, sono sbagliato, non riesco a reagire!». Invece la tristezza è la reazione. Quante volte i miei pazienti oncologici credono che provare tristezza di fronte alla malattia sia sbagliato, e nel tentativo di non provarla si avvitano e si impantanano in una spirale diabolica di frustrazione e sensi di colpa, che diventano il vero problema. Quando vengono rassicurati che la loro tristezza è normale e sana e che hanno diritto di provarla ed esprimerla, paradossalmente si rasserenano, e magari tornano pure a sorridere.
Dott.ssa Lucia Montesi
Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
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