Benessere

Bambini con selettività alimentare, cosa possono fare i genitori?

Nei bambini piccoli è frequente la tendenza a mangiare solo pochi cibi preferiti e rifiutare gli altri. Ecco cosa possono fare i genitori per incoraggiarli ad ampliare la gamma degli alimenti

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La selettività alimentare indica il comportamento di quei bambini (ma anche adulti) che limitano la propria alimentazione a pochi cibi preferiti, rifiutando di mangiare altri cibi noti o di assaggiarne di nuovi. Si tratta di un fenomeno molto frequente nei bambini (13-22% della popolazione pediatrica) a partire dai 2-3 anni e generalmente transitorio. In alcuni casi, tuttavia, questo comportamento assume un’entità patologica configurandosi come disturbo, definito dal DSM 5 Disturbo dell’alimentazione evitante/restrittivo e può permanere anche nell’età adulta.
La selettività alimentare può essere un sintomo all’interno di altri disturbi. Si riscontra frequentemente nei soggetti che presentano disturbi dello spettro autistico, disturbo ossessivo compulsivo o altri disturbi del comportamento alimentare. In questa sede ci limiteremo ad approfondire la selettività alimentare non patologica più comunemente diffusa nell’infanzia e le modalità più adeguate per gestirla.

COME SI MANIFESTA LA SELETTIVITÀ ALIMENTARE?

Il bambino è disposto a mangiare una quantità limitata di cibi, mentre presenta una forte avversione verso gli altri alimenti e rifiuta di mangiarli. L’avversione può riguardare diversi aspetti del cibo: il sapore, l’odore, la consistenza, la forma, il colore, la temperatura.  Frequentemente c’è la richiesta della pasta in bianco al posto di un altro cibo, oppure vengono scartati alcuni alimenti nel piatto, soprattutto le verdure.  I cibi accettati possono essere solo i carboidrati, tipicamente pasta, biscotti e patatine fritte e spesso il pasto viene preparato separatamente dal resto della famiglia. I bambini selettivi presentano anche lentezza nel mangiare e scarso interesse per il cibo e si distraggono mentre mangiano; alla proposta di cibi che non gradiscono, reagiscono con ansia, disgusto, conati di vomito.
Le principali conseguenze fisiche di un’alimentazione così rigida sono carenze nutrizionali, rallentamento della crescita, peso inferiore alla norma o al contrario maggior rischio di obesità a causa della preferenza per cibi spesso ricchi di grassi e sodio, maggior rischio di diabete,  affaticamento, costipazione cronica. Conseguenze psicologiche possono essere apatia e irritabilità; a livello sociale sono presenti difficoltà e tensione al momento dei pasti, evitamento delle occasioni sociali e ricreative come cene di classe e feste di compleanno.

LE CAUSE DELLA SELETTIVITÀ

La relazione con il cibo è influenzata da numerose variabili di tipo fisiologico, psicologico e ambientale e anche la selettività alimentare può avere una origine multifattoriale. Ecco le principali cause:
La neofobia alimentare: è la sospettosità verso i cibi nuovi ed ha il suo picco a 12-24 mesi. Rappresenta un utile meccanismo di difesa che fa sì che il bambino non assaggi tutto in modo indiscriminato, correndo dei pericoli. L’avversione per le verdure deriverebbe da una particolare cautela nei confronti delle piante, che per i nostri progenitori primitivi potevano rappresentare un pericolo, nel caso fossero piante velenose. Tuttavia se  la neofobia persiste oltre i tre anni impedisce una dieta varia ed equilibrata e diventa perciò disfunzionale.
Oppositività e affermazione di sé, anche queste tipiche dei due anni di età. Il piccolo sperimenta per la prima volta la possibilità di dire “no” e di imporre le sue scelte.
Sensibilità sensoriale: è presente un’ ipersensibilità per certi aspetti dei cibi, che provocano quindi una sensazione fisica intensamente sgradevole.
Esperienze sgradevoli o traumatiche con un certo cibo, come aver vomitato, aver avuto dissenteria, rischi di soffocamento o altri episodi di malessere.
Un temperamento tendenzialmente introverso, cauto e prudente nello sperimentare cambiamenti e stimoli nuovi.
Abitudini dei genitori che sono a loro volta selettivi, propongono poca scelta, tendono a cucinare sempre le stesse pietanze.
Imitazione del comportamento dei pari all’asilo nido o alla scuola dell’infanzia.
Una difficoltà emotiva o relazionale che si esprime attraverso il problema alimentare e che deve essere indagata.
-Una componente genetica.
-Un problema fisico sottostante, come intolleranze alimentari, celiachia, reflusso gastroesofageo.

COSA POSSONO FARE I GENITORI

Nei casi più gravi di selettività alimentare è necessario un intervento di équipe, in cui diverse figure professionali si integrano con l’obiettivo di ampliare la gamma dei cibi accettati. Qui ci occupiamo delle situazioni meno gravi e più comuni in cui il comportamento dei genitori può essere sufficiente a gestire il problema. Vediamo quindi alcuni suggerimenti per i genitori:
Mantenere un clima sereno a tavola evitando di rendere i pasti un campo di battaglia, un braccio di ferro per indurre il bambino a mangiare, caricando di tensione un momento che dovrebbe essere spensierato e piacevole per tutta la famiglia. Evitare di minacciare, colpevolizzare, punire, premiare e attuare ricatti affettivi.
Fare pressione è controproducente perché aumenta la resistenza del bambino e diminuisce il piacere legato al pasto.
Riproporre più volte i cibi nuovi a distanza di tempo: sono necessarie circa 15 esposizioni a un cibo per superare la neofobia e considerare quel cibo familiare e provare quindi ad assaggiarlo. Dalle ricerche emerge che i genitori smettono di proporre il cibo dopo cinque tentativi, quindi troppo precocemente.
Proporre diverse consistenze, temperature, colori dello stesso cibo.
Proporre il cibo rifiutato accanto a quello preferito, inizialmente senza chiedere di assaggiarlo. Non mescolare e non camuffare il cibo rifiutato: lo scopo non è ingannare il bambino.
Proporre un solo nuovo cibo alla volta.
Non concedere al bambino di mangiare solo quello che desidera pur di farlo mangiare.
-Non forzare ad assaggiare e consumare i cibi, ma limitarsi ad incoraggiare favorendo piuttosto la sperimentazione e l’esplorazione degli alimenti, usando espressioni come
“Assaggia questo piccolissimo pezzetto e dimmi cosa ne pensi”.
-Presentare porzioni ridotte in modo da non inibire il bambino e aspettare che sia lui a chiedere altro cibo.
Curare l’aspetto dei piatti in modo che possa essere attraente, gradevole, creativo o divertente.
Stabilire un orario regolare per i pasti ed evitare distrazioni come la TV e i giochi.
Fare la spesa e cucinare insieme per coinvolgere il bambino, farlo sentire partecipe, motivarlo ad assaggiare le proprie creazioni.

Lucia Montesi
La psicoterapeuta Lucia Montesi

Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
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