Alcuni lo amano e attendono con entusiasmo, altri lo detestano e lo salterebbero a piedi pari, ma su tutti esercita in qualche misura il suo potere evocativo. Anche per le menti più razionali che restano indifferenti di fronte a tradizioni e superstizioni, o che ne criticano l’aspetto consumistico rifiutando di conformarsi ai consueti riti, il Capodanno è una data che ha comunque un potere simbolico forte a cui è difficile sfuggire, suscitando una speranza magica di cambiamento e rinnovamento, soprattutto in questo difficile periodo.
Il calendario, le date, sono convenzioni arbitrarie che segmentano in modo artificioso il tempo, qualcosa che non ha inizio né fine ma è in costante divenire. Eppure sentiamo il bisogno di un punto da cui ripartire, di un nuovo inizio carico di attese in cui poter “resettare” e da cui lanciarci verso obiettivi, da raggiungere possibilmente in tempi brevi e con successo. I famosi “buoni propositi” di inizio anno, che per diversi aspetti richiamano il tema del tempo.
Che rapporto abbiamo con il tempo? “Il tempo è denaro”, “Chi si ferma è perduto”, usiamo dire. D’altro canto, la lamentela in assoluto più diffusa è la mancanza di tempo: “Eh, se solo avessi più tempo!”, “Sono sempre di corsa”, “Non arrivo a fare tutto”. Ci sentiamo perennemente incalzati dal tempo, che è sempre troppo poco. Non percepiamo il tempo come uno strumento, ma come un limite: il tempo che non basta, che non resta, che ci assilla. Viviamo in una società basata sul tempo, su scadenze da rispettare, dal ritmo frenetico, scandito da continue sveglie per rispettare la tabella di marcia: un tempo per fare colazione, un tempo per lavorare, un tempo per stare con la famiglia, un tempo per riposare, tutto cronometrato.
Siamo spinti a porci obiettivi e raggiungerli velocemente, per poi passare a un altro obiettivo, senza concederci neanche il tempo di apprezzare un traguardo raggiunto. Se siamo troppo lenti ci sentiamo falliti, se non otteniamo di più ci sentiamo sconfitti. Non siamo abituati a vedere più in là del successo a portata di mano, a ragionare in termini di progetti più ampi che richiedono tempi più lunghi, costanza, pazienza, frustrazione, prove ripetute.
Basta aprire una fonte qualunque, che sia un social, una rivista, la tv, e scorrere i titoli: di qualunque argomento si tratti, dalle ricette di cucina al corso di laurea in astrofisica, le parole d’ordine immancabili sono: “facile e veloce”. Tutto deve essere facile e veloce. E più facciamo cose facili e veloci, più perdiamo abitudine e capacità di fare altro.
Bisogna correre, correre sempre. Verso cosa, non si sa, ma l’importante è non fermarsi, perché fermarsi è visto come negativo, sbagliato, da pigri, da svogliati, da persone che non sanno cosa vogliono, da vigliacchi, da deboli. Viviamo il tempo come al servizio della produzione e della quantità e fermarsi significa essere improduttivi. Molti miei pazienti chiedono aiuto perché sono fermi e vogliono assolutamente mettersi in moto. Può trattarsi di una depressione, che li blocca in un pantano stagnante. Ma se si sono fermati, significa che era necessario, che stavano facendo la vita che non volevano, che un cambiamento è nei sotterranei e c’è bisogno di fermare tutto perché possa vedere la luce.
Il tempo accelerato in cui ci costringiamo a vivere è sempre più lontano e scollegato non solo dal tempo e dai ritmi della natura, ma anche dai tempi necessari alla nostra mente. Un’accelerazione che è alla base di una buona parte della sofferenza sociale e psicologica. Sempre in ritardo e in affanno, costretti a inseguire gli impegni, ci sentiamo soffocare, pressare, ci sentiamo inadeguati e sviluppiamo ansia. Di più, imponendoci tempi psichici ridotti e compressi anche nell’elaborazione del dolore, delle perdite, dei lutti che invece richiedono normalmente un lungo e faticoso lavoro di accettazione, creiamo un problema nel problema: nel caso del lutto, ad esempio, data la pressione sociale a riprendersi e stare bene in fretta, molte persone, oltre al dolore del lutto, si trovano a vivere anche il senso di colpa per la propria sofferenza e l’ansia di non essere capaci di reagire.
“Vorrei… ma non ho tempo!”. Tanti nostri buoni propositi vanno in fumo con questo alibi. In realtà il tempo non è affatto poco, ma ne sprechiamo moltissimo dando la precedenza a cose che percepiamo come urgenti ma che non sono importanti. Siamo sempre presi dall’urgenza del momento e dimentichiamo che si tratta del tempo della nostra vita. “La vita è sufficientemente lunga, anzi più che abbondante anche per realizzare le grandi e difficili imprese, purché si sappia spenderla bene dall’inizio alla fine.”(Seneca)
Riappropriarci del tempo significa riconoscerci il diritto di procedere con il nostro ritmo, scartare ciò che non ci appartiene e in cui non ci riconosciamo, sacrificare qualche convenzione ipocrita in nome di una maggiore autenticità, abbandonare obiettivi che non ci rispecchiano, gustare il percorso piuttosto che pesare solo il risultato e, ebbene sì, riconoscerci perfino il diritto di non averli, i benedetti obiettivi: “«Con quale desiderio Lei entra nell’anno nuovo?» Con il desiderio di essere risparmiato da domande del genere” (Karl Kraus).
Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
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