Sopravvivere a una calamità naturale, come un terremoto; scampare a un attentato; salvarsi dopo un grave incidente; guarire da una grave malattia. Sono esempi di situazioni in cui una persona può trovarsi a sviluppare la cosiddetta “sindrome del sopravvissuto”, caratterizzata dal forte senso di colpa per essersi salvati, mentre altri non ce l’hanno fatta, sono morti o sono stati gravemente danneggiati. “Perché io ce l’ho fatta e loro no?”, è il tormento che dilania chi sviluppa questa penosa condizione.
Originariamente il concetto è stato introdotto per descrivere la condizione psicologica dei sopravvissuti all’Olocausto, ma è stato poi esteso anche ad altre situazioni, che nella maggior parte dei casi possiamo definire traumatiche. Il senso di colpa del sopravvissuto ha infatti un forte legame con il disturbo da stress post-traumatico, di cui è considerato una manifestazione. Si tratta di quel disturbo che si sviluppa in persone che sono state esposte a gravi eventi in cui hanno sperimentato una minaccia di morte per sé o per altri e che comporta un’ampia gamma di sintomi, tra cui sentimenti di colpa distorti e pensieri negativi su sé stessi. Non sempre, tuttavia, è necessario che sia presente un disturbo da stress post-traumatico perché si sperimenti la sindrome del sopravvissuto e non sempre l’evento ha le caratteristiche del trauma, così come non tutti coloro che hanno il disturbo da stress post-traumatico presentano la sindrome del sopravvissuto. Il ventaglio delle possibili condizioni è ampio e comprende situazioni molto diverse in cui c’è la percezione di godere ingiustamente di un vantaggio: dallo scampare al crollo di un ponte, all’essere l’unico figlio sopravvissuto a una nascita gemellare, all’essere risparmiati da un licenziamento che colpisce altri colleghi, al guarire dal cancro mentre altri muoiono, al sopravvivere a un figlio o un nipote. Il senso di colpa del sopravvissuto non avrebbe ragione di esistere ed è pertanto patologico, legato a modalità di pensiero disfunzionali.
Nel senso di colpa del sopravvissuto può esserci la percezione di non aver fatto abbastanza per salvare l’altro, ma questa non è una condizione necessaria: la persona si sente in colpa anche se non ritiene ci sia un nesso tra il proprio comportamento e il danno subito dalla vittima, anche se non pensa che avrebbe potuto fare diversamente, anche se è consapevole di non avere mai desiderato il danno della vittima. La colpa che sente su di sé la persona sopravvissuta, è quella di essere privilegiata nel confronto con chi ha avuto una sorte peggiore, senza meritarlo, di essere ingiustamente sopravvissuta senza aver fatto nulla per guadagnarsi la salvezza: “Perché io mi sono salvato e gli altri no?”, “Cos’ho io di meglio rispetto a loro?”, “Altri avrebbero meritato più di me di salvarsi”. Il semplice fatto di essere in vita, a differenza di altri, diventa una colpa. Si percepisce la violazione di un principio di equità, il venir meno della possibilità che esista un mondo giusto che premia i buoni e punisce i cattivi. Rimanere in vita è vissuto come un tradimento nei confronti di altri che non ce l’hanno fatta e suscita un costante conflitto interiore.
Come si manifesta la sindrome del sopravvissuto? Principalmente con la ruminazione ossessiva sui pensieri di colpa, che si accompagna ad ansia, depressione, disturbi del sonno, incubi, disturbi psicosomatici, astenia, irritabilità e sbalzi di umore, malfunzionamento nelle varie aree di vita, ritiro sociale, sentimenti di impotenza, pensieri suicidi, mancanza di motivazione. Sentendosi in colpa, la persona si impedisce di vivere ed essere felice, si condanna a una morte psichica, fa in modo di non godere della vita che pensa di non meritarsi, e così in qualche modo espia quella che crede una sua colpa.
Come si può superare la sindrome del sopravvissuto? Modificando l’interpretazione data agli eventi in senso più realistico. Chi soffre di questa condizione ha bisogno di essere aiutato a considerare che l’evento era fuori dal suo controllo e che ha fatto del suo meglio in quelle circostanze, e a sviluppare un atteggiamento di maggiore compassione per sé, più indulgente e meno giudicante. Il senso di colpa, pur essendo doloroso, è un modo con cui la mente cerca di trovare un colpevole e fornisce l’illusione di dare una spiegazione a quanto di terribile e ingiusto accade e magari di poter avere un controllo e un potere di modificare il corso degli eventi. Così il senso di colpa distorce il proprio ruolo e le proprie responsabilità in quanto accaduto, iper-responsabilizza il sé e rivolgendo l’attacco su di sé permette di illudersi di poter controllare qualcosa. Ma è un meccanismo auto distruttivo che va riconosciuto e fermato, aiutando la persona ad assolversi accettando che purtroppo non è possibile avere un controllo sugli eventi tragici della vita e che tutti condividiamo questa condizione esistenziale.
Dott.ssa Lucia Montesi
Psicologa Psicoterapeuta Consulenza, sostegno e psicoterapia online tramite videochiamata
Studi a Piane di Camerata Picena (AN) e
Montecosaro Scalo (MC)
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