L’empatia è la capacità di immedesimarsi negli altri, di mettersi nei loro panni, di comprendere cosa pensano e sentono e, in certa misura, di sentire le stesse emozioni e gli stessi sentimenti degli altri. Un sano ed equilibrato livello di empatia (né troppo poca, né eccessiva) permette un gran numero di vantaggi, dalla realizzazione personale e professionale, alla buone relazioni sociali, oltre che essere prerequisito necessario per avere una società civile. I bambini con alti livelli di empatia tendono infatti a mettere in atto con minor frequenza comportamenti aggressivi e antisociali e a mostrare maggiori comportamenti di aiuto e cura verso gli altri. All’opposto, quanto più la capacità empatica di una persona è scarsa e prossima allo zero, tanto più cresce il rischio di una psicopatia: la persona psicopatica non sa immedesimarsi nella sofferenza degli altri, può usare gli altri come oggetti e fare del male senza alcun rimorso e senso di colpa.
Gli psicologi sociali segnalano che, rispetto al passato, la capacità di empatizzare con gli altri sta diminuendo e ciò è un riflesso di una cultura fortemente caratterizzata da iperindividualismo. Siamo più focalizzati su noi stessi, sulla realizzazione personale, sul soddisfacimento dei nostri bisogni, sulla competizione per ottenere risultati migliori degli altri.
Inoltre, il massiccio utilizzo di una comunicazione in cui manca la possibilità di vedere il viso dell’altro o di ascoltarne la voce, come avviene nei messaggi scritti delle varie app di messaggistica e dei social network, non permette di cogliere elementi come l’espressione del viso, il tono della voce, da cui possiamo cogliere i sentimenti degli altri. Bambini e ragazzi hanno pertanto molte meno occasioni, rispetto a quanto avveniva in passato, di allenarsi a riconoscere gli stati mentali degli altri attraverso questi efficaci segnali e hanno quindi maggiori difficoltà a sviluppare capacità empatica.
La capacità di provare empatia si sviluppa nei bambini principalmente nel contesto dei legami familiari o comunque del rapporto con le figure più significative che si prendono cura di loro. Per questo, gli adulti che si prendono cura di un bambino hanno una responsabilità cruciale nell’educare un individuo che sia sanamente empatico. In quali modi i genitori possono contribuire a crescere figli capaci di sana empatia? Strumenti e occasioni per incoraggiare l’empatia si presentano facilmente nella vita quotidiana di ogni famiglia. Il solo fatto (purtroppo non sempre scontato, come dovrebbe essere) di fornire amore e cura ai figli favorisce implicitamente in loro l’empatia, perché i bambini che ricevono amore e cura imparano a loro volta a esprimere affetto e attenzione ad altri. Posta questa premessa facilmente intuibile, vediamo più in dettaglio quali comportamenti dei genitori agevolano il formarsi di una sana capacità empatica:
– Parlare e condividere in famiglia gli eventi della giornata: non si tratta di fare una cronaca dei fatti avvenuti, ma soprattutto di condividere come ci si è sentiti, cosa si è pensato e provato. Si tratta di una occasione di comunicazione vis-a-vis, in cui i bambini hanno modo di imparare a cogliere lo stato mentale degli altri dallo sguardo, dai gesti, dal tono della voce e da altri segnali non verbali.
– Consentire ai bambini di esprimere le loro emozioni, legittimandole, senza indurli a reprimerle (“Non devi piangere”, “Non devi essere arrabbiato”…), perché tutta la gamma degli stati emotivi che sperimentano (anche e soprattutto quelli negativi) è il materiale indispensabile su cui si forma la capacità empatica. Bloccare i sentimenti può sembrare un modo per evitare la sofferenza e altri stati emotivi spiacevoli, ma blocca lo sviluppo emotivo. Se io vengo educato a reprimere e ad evitare il contatto con un’ emozione o un sentimento, non sarò più capace di riconoscerlo in me quando si presenterà (e si presenterà, perché si tratta di contenuti mentali universali e inevitabili, espressioni del funzionamento della mente umana), di gestirlo, di riconoscerlo negli altri e di agire di conseguenza. Se, ad esempio, devo scappare dal contatto con il mio dolore o la mia tristezza, non posso capire e identificarmi nel dolore e nella tristezza degli altri e non posso sostenerli.
– Empatizzare con le emozioni dei bambini: significa metterci nei loro panni e comunicare che capiamo ciò che provano, fornendo per primi un modello di empatia che loro possono apprendere e replicare con gli altri. Empatizzare con loro non significa legittimare un comportamento scorretto o permettere che sia infranta una regola: al contrario, empatia e regola vanno di pari passo, perché l’empatia, il sentirsi capiti, aiuta ad accettare più di buon grado una regola. Se un comportamento è inaccettabile, dobbiamo restare fermi nel ribadirlo (“Non puoi picchiare tuo fratello”), ma riconoscere lo stato d’animo che ha portato al comportamento (“Capisco che tu ti senta arrabbiato perché tuo fratello ti disturbava mentre facevi i compiti, hai ragione a sentirti così”) abbassa il livello di tensione perché fa sentire compresi. Anche noi adulti tolleriamo meglio di sottostare a regole, obblighi o divieti e ci sentiamo più rispettati se vediamo che chi ce li pone cerca comunque di mettersi nei nostri panni, capisce come ci sentiamo, dà valore alla nostra opinione.
– Aiutare i bambini a essere consapevoli delle loro emozioni, perché non possono empatizzare con ciò che prova un altro, se prima non hanno modo di riconoscere cosa provano in prima persona, di sapere che nome ha l’emozione che sperimentano. I bambini sperimentano stati emotivi confusi e hanno bisogno di un adulto che gli permetta di decodificarli, tradurli in parole: “Sei arrabbiato perché il tuo compagno ha preso il tuo giocattolo”, “Ti senti triste perché la nonna deve tornare a casa e non può più stare con te”, “Ora sei spaventato perché devi fare l’iniezione che l’altra volta ti ha provocato dolore”, “Oggi sei felice perché siamo venuti nel posto che ti piace tanto”. Perché possano comprendere gli altri, dobbiamo per prima cosa aiutarli a comprendere sé stessi, le proprie necessità, i propri sentimenti.
– Aiutarli ad immedesimarsi negli altri, a immaginare cosa gli altri possano pensare e provare, ponendo domande come “Come pensi si senta?”, “Come ti sentiresti tu se fosse successo a te?”, “Quando ti comporti così con il tuo amico, come pensi che si senta?”, “Di cosa pensi che abbia bisogno per sentirsi meglio?”. Le occasioni sono innumerevoli, da episodi della vita quotidiana, a notizie apprese dalla tv, a libri e film, cartoni animati o canzoni, al disegno, ai giochi di gruppo. Sono tutte occasioni in cui sperimentano che gli altri possono avere opinioni, interessi, sentimenti diversi dai propri e ugualmente legittimi e in cui possono riflettere sulle conseguenze delle proprie azioni.
– Far vedere ai figli i propri sentimenti e bisogni: permette ai bambini di vedere che tutti provano emozioni diverse e che è normale provarle, ma soprattutto è utile perché è nella relazione con i genitori che i bambini hanno l’opportunità migliore di sperimentare che anche gli altri hanno dei bisogni che vanno rispettati. Se i genitori mettono sempre in secondo piano i propri bisogni per assecondare i figli o nascondono i propri sentimenti, i figli restano centrati su di sé, incapaci di comprendere che anche i genitori possono sentirsi ad esempio stanchi, o dispiaciuti, o feriti. Solo sperimentando che i propri genitori hanno a loro volta dei bisogni, imparano ad essere empatici nella relazione con loro e successivamente anche nelle altre relazioni con i coetanei e con gli altri adulti.
Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Consulenza, sostegno e psicoterapia online tramite videochiamata
Per appuntamento tel. 339.5428950