Bisogna ammetterlo, noi donne siamo maestre in questo genere di comunicazione: lui ci chiede ingenuamente «Cos’hai?», percependo dai nostri segnali non verbali che qualcosa evidentemente non va, e noi rispondiamo «Niente!», con una faccia torva e un tono astioso manco volessimo ammazzare qualcuno. È una comunicazione passivo-aggressiva, che, appunto, non dice direttamente, non esprime la rabbia o il disappunto in modo diretto e franco, ma lo fa con strategie più larvate, ambigue e subdole. A parole la rabbia viene negata («Arrabbiato io? Ma no, ma ti pare…»), per poi essere espressa attraverso comportamenti che colpiscono, infastidiscono o danneggiano l’altro in modo indiretto o nascosto. In questo modo, si può colpire l’altro senza fare apparentemente nulla.
Può accadere a tutti di usare in alcune circostanze una comunicazione passivo-aggressiva, ma ci sono persone in cui è così pervasiva da diventare una caratteristica della personalità.
L’aggressività passiva può assumere molte forme: esplicitamente nega i sentimenti ostili, ma poi li manifesta con il malumore, con il “mettere il muso”, con l’accondiscendere apparentemente alle richieste dell’altro e poi di fatto sottrarvisi procrastinandole («Sì sì, ora lo faccio, un momento», oppure «Dopo lo faccio…») creando disagio e irritazione. Si può aggredire mettendo in difficoltà un altro non tanto facendo attivamente qualcosa di ostile nei suoi confronti, ma ad esempio omettendo delle informazioni importanti e creandogli un danno indiretto: «Oh, pensavo lo sapessi che la riunione era stamattina! Che peccato, non hai potuto partecipare». Un’altra forma di aggressione passiva sono i falsi complimenti che in realtà nascondono un commento sarcastico, una frecciatina: «Come ti sta bene questo vestito…neanche si vede che sei ingrassata». O ancora: assumere un atteggiamento vittimistico per fare sentire in colpa («Vai pure, non ti preoccupare, faccio da solo…tanto lo so che non posso contare su nessuno…»); mostrarsi collaborativi e poi eseguire male un compito richiesto, in modo lento o inaccurato; vendicarsi del capo dandosi malati proprio in occasione di scadenze importanti per l’azienda; fare buon viso e poi lamentarsi e sparlare di nascosto; mostrarsi umili, dispiaciuti per i propri errori e scusarsi per poi continuare esattamente come prima ad essere intenzionalmente inefficienti; essere in ritardo agli appuntamenti, dimenticare cose importanti per l’altro fingendo che il tutto sia casuale; fare ostruzionismo, boicottare, lasciare peggiorare i problemi senza fare niente. E in genere, tutto è nascosto dietro una facciata di disponibilità, cortesia, sorrisi.
L’aspetto più irritante è che la persona che in modo subdolo mette in atto comportamenti ostili e di disturbo, nel momento in cui l’altro reagisce o sbotta, tenta di spostare l’attenzione sulla reazione dell’altro mostrandosene stupita: «Mamma mia, quanto sei nervoso!», «Ma quanto te la prendi!», «Ma io stavo solo scherzando!», continuando a negare le proprie intenzioni, sfuggendo a un confronto diretto e anzi, accusando l’altro di essere problematico, senza mettersi in discussione. Il fatto di far uscire l’altro dai gangheri con questo modo di fare dà anche una sensazione di potere che costituisce un’ulteriore piacevole vendetta.
Le persone che tendono ad utilizzare strategie passivo aggressive per gestire la rabbia, hanno difficoltà ad accettare questa emozione e ad esprimerla in un modo assertivo, ovvero difendendo i propri bisogni e diritti nel rispetto dell’altro, senza accusare e offendere ma allo stesso tempo senza rinunciare a portare avanti la propria opinione o posizione. Considerano la rabbia qualcosa di sconveniente, che non si può esprimere direttamente. Hanno anche bisogno di apparire come persone brave, buone, che non si arrabbiano mai, e di avere l’approvazione degli altri. Tuttavia, la rabbia repressa sfocia attraverso queste modalità più nascoste. Paradossalmente, però, l’aggressività passiva utilizzata come modalità più soft, attenuata e meno riprovevole di gestire i conflitti, diventa invece a lungo andare più distruttiva per i rapporti dell’aggressività franca, proprio per la sua ambiguità che rende disfunzionale la relazione e impedisce un confronto aperto e costruttivo.
La via d’uscita consiste nell’imparare a riconoscere ed esprimere in modo più sano e funzionale la propria rabbia e nell’adottare uno stile assertivo. Assertività significa esprimersi con chiarezza, apertura e responsabilità, senza subire ma neanche essere, all’opposto, arroganti. Ne parleremo più approfonditamente nel prossimo articolo.
Dott.ssa Lucia Montesi
Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Tel. 339.5428950