La chiamiamo comunemente “psicosi collettiva”, anche se il termine è improprio, ed è l’insieme dei comportamenti scomposti e irrazionali di fronte ad un pericolo. La paura è un’emozione necessaria con una funzione positiva: avvertirci di un pericolo e renderci attenti e pronti a reagire per affrontarlo. Ma se la paura diventa eccessiva trasformandosi in panico, può diventare negativa e controproducente, portando a comportamenti non funzionali e ostacolando sempre più il ragionamento logico. È ciò che sta accadendo in questi giorni in seguito alla comparsa di focolai del virus Covid-19 in Italia, con circa 300 contagiati e purtroppo alcuni morti, determinando comportamenti convulsi e irrazionali dettati dalla paura che finiscono per aumentare il pericolo piuttosto che contenerlo, inducendo, ad esempio, ad accalcarsi nei supermercati per fare incetta di provviste proprio nel momento in cui è raccomandato evitare gli assembramenti.
Accanto alla reazione di panico esagerato e irrazionale, coesiste la posizione opposta e altrettanto disfunzionale di chi si ostina a negare il pericolo, in parte come esito del meccanismo di difesa inconscio della negazione, per cui non vediamo ciò che ci disturba o ci angoscia, o di una reazione di tipo maniacale in cui ci sentiamo illusoriamente invincibili e immuni dal contagio. Entrambi gli atteggiamenti sono disfunzionali perché non permettono di prendere atto di un pericolo reale, di considerare i dati oggettivi e mantenere la lucidità per affrontarlo nel modo efficace. Una semplice abitudine raccomandata e comprovata per ridurre i contagi, come lavarsi le mani, può finire così per essere disattesa da entrambi: da chi nega, perché “tanto non c’è pericolo”, da chi è nel panico, perché “tanto è inutile, moriremo tutti!”.
Una sana paura è quindi una risorsa per gestire il pericolo legato al virus, ma come possiamo mantenerla ad un livello che non sovrasti il nostro funzionamento cognitivo e non invada la nostra vita, paralizzandoci? Intanto permettendole uno spazio, anche se delimitato. Riconoscere la nostra legittima paura è importante e ci permette di gestirla, mentre negarla non farebbe che renderla ancora più pressante. Per ricondurre la paura entro limiti accettabili, dobbiamo poi essere consapevoli dei fattori che la alimentano. La paura dipende infatti da come valutiamo il rischio, e la percezione del rischio è scollegata dal pericolo reale. Intervengono infatti le emozioni, le credenze personali, il modo in cui sono diffuse le notizie, che possono distorcere questa percezione.
La paura del coronavirus e la percezione del rischio di contagio, al di là della oggettiva pericolosità del virus, sono enfatizzati da vari elementi:
- Il virus è invisibile e perciò non controllabile: questo fa sì che lo riteniamo molto più pericoloso per la nostra vita rispetto, ad esempio, agli incidenti stradali, perché sulla nostra automobile crediamo di avere un controllo molto maggiore. Ci appare inoltre inevitabile perché le nostre abitudini di vita che lo favoriscono (luoghi affollati, spostamenti frequenti ecc.) ci appaiono impossibili da modificare.
- Il virus arriva da lontano, è sconosciuto e non ci è familiare, perciò lo percepiamo enormemente più pericoloso della normale influenza (in effetti lo è, in parte, ma la differenza percepita è ancora maggiore) perché quest’ultima ci è familiare, è un appuntamento annuale da sempre, siamo abituati a vedere tutti quelli che sono guariti e non si parla mai dei morti per complicazioni.
- Il pericolo del virus è temporalmente immediato e questo ce lo fa percepire molto più alto rispetto a pericoli anche maggiori, che però non percepiamo perché non immediatamente visibili e spalmati su un lungo pericolo (ad esempio, il rischio cancro collegato al fumo, o il rischio infarto collegato allo stile di vita).
- La sovrabbondanza di informazioni ansiogene con titoli emotivi e allarmanti (il continuo bollettino di contagiati e morti) induce a sovrastimare il reale rischio: più se ne parla, più il rischio appare concreto; inoltre, più un evento è accessibile in memoria, più lo riteniamo probabile.
- Il contagio dell’ansia avviene con grande facilità, più ne parliamo con altri e più si estende; siamo anche molto sensibili a segnali di pericolo che mandano gli altri: se in una stanza affollata uno si mette a correre e gridare, anche senza motivo, subito lo faranno tutti gli altri, anche senza sapere la causa.
- L’ansia non permette di rilevare le informazioni positive e incoraggianti e seleziona solo ciò che conferma preoccupazione e allarme, in un circolo vizioso.
- Non siamo più abituati all’incertezza, alla percezione della nostra fragilità, abbiamo l’illusione di poter controllare tutto. Non siamo preparati all’imprevedibilità e alla realtà che esistono fenomeni difficili da controllare. Il virus evoca angosce ancestrali e costringe a confrontarci col timore della morte, che costantemente rimuoviamo. Non a caso, le persone meno in ansia per il coronavirus sono i miei pazienti oncologici, già ampiamente abituati, purtroppo, a confrontarsi e convivere con una condizione di vulnerabilità e rischio.
- Per la prima volta, viviamo sui social il manifestarsi di una malattia con rischio epidemico, e tipicamente sui social abbondano notizie frammentarie, inesatte, emotive. La sovrabbondanza e contraddittorietà delle informazioni è ansiogena, sappiamo tutto troppo in fretta e non tolleriamo l’attesa, anche di qualche giorno, necessaria perché le autorità si organizzino per intervenire nel modo efficace.
Conoscere tutti questi meccanismi ci permette di ridimensionare la paura che sentiamo, diventando consapevoli che una parte è irrazionale e concentrandoci sui dati reali.
Di fronte alla paura e al senso di impotenza, ci aiuta poi poter recuperare una sensazione di controllo. Cosa è in nostro potere in questo momento? Quali sono le cose utili che possiamo fare?
- Informiamoci bene, sui canali ufficiali (Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento di Protezione Civile…), approfondiamo al di là del titolo, controlliamo data e ora delle notizie. Evitiamo di cercare convulsamente informazioni ovunque esponendoci a un bombardamento di notizie confuse e ansiogene. Non controlliamo troppo spesso le nuove notizie.
- Facciamo circolare informazioni esatte e accertiamoci che le persone che conosciamo sappiano quali comportamenti sono raccomandati (come il frequente lavaggio delle mani, la distanza da chi ha sintomi respiratori, ecc.).
- Applichiamo le semplici norme raccomandate come lavarci le mani, non toccarci il viso, tossire nel gomito ecc., che tuttora troppe persone non rispettano.
- Pensiamo che si stanno prendendo tutte le misure per fronteggiare la situazione e che in tutto il mondo persone stanno lavorando per sconfiggere il virus.
- Se soffriamo delle limitazioni imposte e le riteniamo superflue per noi, facciamo lo sforzo civico e morale di collaborare pensando che proteggiamo non solo un “altro” generico, ma anche nostri familiari o amici più esposti perché anziani o compromessi da altre patologie.
- Cerchiamo di dedicarci, per quanto consentito da eventuali limitazioni, a ciò che ci fa stare bene, ci distrae e che potenzia il nostro sistema immunitario. Se siamo costretti a stare a casa, proviamo a usare il tempo per ciò che davvero conta per noi e che spesso perdiamo di vista, cercando di non lasciare che la paura invada ogni nostro spazio vitale.
- Quando sentiamo l’ansia salire, impegniamoci in attività pratiche e manuali che permettono di stemperarla o concentriamoci sulla respirazione; in caso di attacco di panico, l’ansia durerà circa venti minuti e poi diminuirà.
- Se la paura ci fa stare male, non esitiamo a prenderci cura di noi stessi chiedendo un supporto psicologico. Alcuni professionisti che abitualmente operano nelle aree isolate sono raggiungibili anche via Skype o altre modalità a distanza e l’Ordine degli Psicologi nelle prossime ore metterà a disposizione un vademecum per aiutare le persone a confrontarsi psicologicamente nel modo migliore con il problema.
- Usiamo la tecnologia come i social, le chat, i messaggi, le telefonate per non sentirci soli, per darci conforto reciproco e soprattutto per far sentire la nostra vicinanza a chi si trova in condizioni di maggiore difficoltà nelle aree sottoposte a restrizioni.
Cogliamo questa difficile esperienza per fermarci a riflettere su quanto abbiamo, ma apprezziamo solo quando manca, per renderci conto che in altre parti del mondo questa condizione che ci troviamo temporaneamente a subire è purtroppo la normalità e che noi godiamo abitualmente di una condizione di vita fortunata, che recupereremo. Dobbiamo fare un grande sforzo collettivo di civiltà, prenderci cura e responsabilità di noi stessi e degli altri: collaborando ci sentiamo parte di un tutto più forte e ne traiamo un senso di sicurezza e fiducia.
Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
Tel. 339.5428950