Benessere

Diabete, accettare e convivere con la malattia: il peso degli aspetti psicologici

Nel diabete gli aspetti psicologici influenzano non solo la qualità di vita, ma anche la malattia stessa e l'efficacia delle cure. I consigli della psicologa

Il diabete è una malattia endocrina cronica in cui il corpo non riesce ad assimilare il glucosio, con conseguente innalzamento dei livelli glicemici nel sangue. Nel diabete l’organismo non produce o non usa correttamente l’insulina, necessaria per utilizzare il glucosio come fonte di energia. Esistono due forme, il diabete mellito di tipo 1  e il diabete  mellito di tipo 2. Nel diabete di tipo 1, che insorge in età precoce per cause immunitarie, l’insulina non è prodotta affatto ed è necessario introdurla con la terapia. Nel diabete di tipo 2, che rappresenta oltre il 90% dei casi e che insorge in età adulta a causa principalmente di stile di vita e abitudini alimentari, l’insulina è prodotta ma non è sufficiente.

Lucia Montesi
La psicoterapeuta Lucia Montesi

Gli aspetti psicologici hanno un peso determinante nel diabete, perché la condizione emotiva non influenza solo la qualità della vita, ma anche la patologia stessa e la risposta al trattamento. Perciò è sempre necessario monitorare la condizione psicologica della persona a cui sia stata fatta diagnosi di diabete, come è necessario istruirla sul ruolo dello stress e su possibili modi per gestirlo e limitarne l’impatto sulla propria salute.

Il momento della diagnosi ha un impatto psicologico forte sia sulla persona che sulla sua famiglia, soprattutto quando la malattia riguarda bambini e adolescenti. La diagnosi stravolge le abitudini quotidiane e gli equilibri relazionali, i rapporti con gli altri e l’immagine di sé. Inoltre questo tipo di patologia richiede più di altre il coinvolgimento e l’impegno attivo della persona che deve controllare livelli di glucosio, autosomministrazione del farmaco, alimentazione, peso, attività fisica.

Come per altre condizioni o eventi stressanti che comportano un cambiamento significativo, solitamente la reazione emotiva segue delle tipiche fasi, in un percorso che può svilupparsi in mesi: inizialmente lo shock e il rifiuto, la negazione del problema e il rifiuto della terapia; successivamente, quando subentra la consapevolezza, intense emozioni di rabbia, paura e tristezza; quindi il venire a patti con la situazione attivandosi per gestirla; una fase depressiva in cui prevale la consapevolezza delle rinunce, delle perdite e dei limiti che la malattia comporta, con conseguenti sfiducia, pessimismo e irascibilità; infine l’accettazione, ovvero una posizione più equilibrata in cui il problema non è negato ma nemmeno pervasivo e le energie si concentrano su ciò che è possibile fare. Anche altri passaggi significativi come l’inizio della terapia insulinica o la comparsa di complicanze possono riattivare lo stesso percorso emotivo.

Queste reazioni emotive sono normali e fanno parte dell’adattamento alla malattia, tuttavia in una percentuale consistente di persone con diabete si rilevano livelli elevati e persistenti di ansia e umore depresso che possono raggiungere l’entità di disturbo psicopatologico. La probabilità di soffrire di depressione triplica nelle persone con diabete di tipo 1 e raddoppia nel diabete di tipo 2. Gli adulti diabetici hanno un rischio aumentato del 20% di soffrire di disturbi d’ansia. Sintomi minori che non raggiungono la soglia per la diagnosi di disturbo sono presenti in percentuale molto elevata, fino al 70%. Sono frequenti anche i disturbi del comportamento alimentare.

L’ansia riguarda soprattutto la possibilità di sviluppare complicazioni gravi e la paura anticipatoria dell’ipoglicemia, per le sue potenziali conseguenze negative e per i cambiamenti immediati nel proprio funzionamento cognitivo che possono essere vissuti come imbarazzanti. Altri motivi di ansia sono la consapevolezza della cronicità della malattia e delle cure, l’incertezza, il pensiero di non riuscire più a gestire la malattia e di essere dipendenti dagli altri, la mancanza di libertà, le reazioni delle altre persone, l’impotenza. Il vissuto di dipendenza dalla patologia e di impotenza verso una condizione non scelta ma subìta sono molto comuni.

Sia che si tratti di disturbi psicopatologici conclamati o di stress psicologico che non raggiunge la soglia clinica di disturbo, in ogni caso le conseguenze del disagio psicologico vanno oltre la qualità della vita ma incidono sul controllo del livello di zucchero nel sangue e sulla gravità delle complicanze. L’influenza è sia indiretta che diretta. Indirettamente, una condizione di umore depresso rende più difficile seguire la routine terapeutica necessaria, comportando minore aderenza alla terapia e alle regole comportamentali. Esiste però anche un’influenza diretta della condizione psicologica: lo stress e la depressione inducono un aumento dell’ormone cortisolo, che a sua volta influenza il livello di zucchero nel sangue, comportando nella maggior parte dei casi iperglicemia. Inoltre lo stress sembra limitare la secrezione di insulina. Il ruolo degli ormoni dello stress nelle persone diabetiche non è tuttavia ancora stato definitivamente chiarito, ad esempio l’associazione tra cortisolo e glicemia è stata individuata in chi ha già diagnosi di diabete ma non è ancora chiaro se lo stress possa contribuire all’insorgenza stessa del diabete.

L’intervento psicologico con la persona diabetica agisce ad ampio raggio permettendo di attivare meccanismi di fronteggiamento adattivi e funzionali e aiutando la persona a convivere con il diabete sentendosi meno dipendente dalla patologia e avendone maggiore padronanza. Passare dalla percezione della malattia come nemico da sconfiggere, a quella di elemento con cui convivere e fare compromessi, consente di indirizzare le energie in modo proficuo.  Modificare pensieri e comportamenti autosabotanti aiuta la persona a cambiare lo stile di vita, accettandone le restrizioni. L’intervento psicologico aiuta anche a ridurre le occasioni e le fonti di stress e a risolvere più efficacemente i problemi. Anche le relazioni familiari ed eventuali dinamiche disfunzionali (ad esempio, iperprotezione da parte dei familiari) sono spesso oggetto del trattamento psicologico. Le tecniche di rilassamento come gli  esercizi di respirazione, il rilassamento progressivo e il training autogeno permettono di  abbassare il livello di attivazione corporea e di ridurre il cortisolo, con conseguente effetto positivo.

Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
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