I disturbi dell’alimentazione sono il problema di salute più frequente e più grave tra ragazze e ragazzi adolescenti nel mondo occidentale e necessitano di un trattamento specialistico, per evitare seri danni sia alla salute fisica che al funzionamento psicosociale.
Attualmente i disturbi dell’alimentazione sono classificati in Anoressia nervosa, Bulimia nervosa, Disturbo da binge-eating e Disturbo evitante dell’assunzione di cibo e possono essere curati con diverse forme di psicoterapia. Gli approcci possono essere diversi a seconda dell’orientamento e coinvolgere in diversa misura e in differenti modalità la famiglia dell’adolescente che manifesta il disturbo, ma alcune indicazioni rivolte ai genitori possono essere valide in generale, a prescindere dallo specifico approccio scelto.
Il ruolo dei genitori
L’atteggiamento dei genitori ha un’influenza determinante, sia perché in alcuni casi può essere parte del problema, sia perché le ragazze e i ragazzi hanno bisogno di sostegno, incoraggiamento, equilibrio e fermezza per affrontare un disturbo che causa intensa sofferenza. Diventa perciò indispensabile orientare i genitori verso quei comportamenti che possono favorire la risoluzione del disturbo e sostenerli perché non cadano preda dell’impotenza, della rabbia, della frustrazione.
I genitori di adolescenti con disturbi dell’alimentazione possono adottare diversi atteggiamenti che risultano controproducenti. Alcuni possono diventare eccessivamente protettivi e ostacolare, per paura, l’autonomia dei figli; possono arrabbiarsi, usare la forza per costringerli a modificare il comportamento alimentare, o fare prediche o suppliche (“Fallo per me, mangia!”), oppure ricatti; possono mostrarsi eccessivamente turbati, o invece negare il problema e fare come nulla fosse. La difficoltà sta proprio nel trovare un equilibrio, un giusto mezzo per incoraggiare senza forzare troppo, per essere emotivamente disponibili senza essere travolti e mostrarsi impotenti e disperati.
Il primo dubbio che tormenta i genitori è “Perché?”. Perché proprio la loro figlia, il loro figlio? È colpa loro? Hanno sbagliato qualcosa? Le cause alla base dei disturbi alimentari sono molteplici e non sono le stesse in tutti i casi. A volte comprendono dinamiche familiari disfunzionali, ma non sempre è così. Inoltre le dinamiche alterate possono comparire successivamente al disturbo e proprio come risposta al suo manifestarsi e al suo profondo impatto su tutti i familiari. I disturbi alimentari hanno poi la peculiarità di autoalimentarsi attraverso specifici meccanismi che, una volta innescati, tendono a perpetuarli anche al di là e a prescindere dalle cause originarie. Perciò non ha senso torturarsi nei sensi di colpa, piuttosto è bene chiedersi cosa si può fare ora per uscire dal problema, senza vergognarsi né di sé stessi, né del proprio figlio.
I disturbi dell’alimentazione devono essere affrontati prima possibile con l’aiuto di specialisti, senza temporeggiare o pensare che si tratti di un capriccio passeggero. I genitori possono pensare che sia una questione di volontà e pertanto chiedere ai figli di fare uno sforzo, ma il problema dei disturbi alimentari è che innescano dei circoli viziosi da cui poi non si riesce più ad uscire, anche volendolo.
Il cibo e i pasti
Il rischio che la tavola diventi una trincea è elevatissimo, mentre è fondamentale evitare che il cibo diventi il centro di tutta la vita familiare e motivo perenne di discussione e tensione. Il pericolo è che si parli (e si litighi) solo di cibo, perdendo di vista tutte le altre, comuni problematiche che rispecchiano le difficoltà dell’età adolescenziale e su cui è importante mantenere la comunicazione. Evitare che i pasti si svolgano in un’atmosfera pesante, quindi, ingaggiando lotte per far mangiar un po’ di più, e controllando la quantità del cibo, a meno che non sia espressamente stabilito nella terapia.
I genitori dovrebbero evitare commenti critici sul comportamento inadeguato della ragazza o del ragazzo durante il pasto, ma limitarsi a incoraggiarli a portare avanti quanto hanno stabilito in terapia, anche se è difficile. Dopo i pasti, nel caso di condotte di eliminazione come vomito, uso di lassativi o esercizio fisico eccessivo, i genitori possono avere un ruolo (concordato in terapia con i ragazzi) nell’aiutare i figli a distrarsi con altre attività, per evitare di farvi ricorso.
I genitori dovrebbero fare in modo di ridurre gli stimoli che favoriscono la preoccupazione per il peso, per la forma del corpo e per il controllo dell’alimentazione, ovvero il nucleo centrale dei disturbi dell’alimentazione. Ad esempio, è preferibile che altri familiari non seguano diete ipocaloriche per motivi esclusivamente estetici ed occorre evitare di enfatizzare magrezza e controllo del peso nelle conversazioni familiari o negli stimoli presenti in casa, come riviste e libri. Anche tenere in casa grandi quantità di cibo-spazzatura costituisce uno stimolo ulteriore a eventuali abbuffate.
I genitori possono incoraggiare i figli ad affrontare il trattamento del disturbo, sostenendoli nel riconoscere l’esistenza del problema, con comprensione ma anche con fermezza. Il messaggio che deve passare è “capisco che per te è molto difficile, ma non permetterò che tu ti faccia del male”, senza arretrare sulla necessità del trattamento anche se la ragazza o il ragazzo minimizzano. Il percorso è lungo e i ragazzi hanno bisogno di sentire delle presenze ferme, calme e fiduciose.
I disturbi alimentari possono essere accompagnati da un’eccessiva tendenza al perfezionismo, da una bassa autostima, da difficoltà a relazionarsi con gli altri. Anche in questo i genitori possono essere d’aiuto evitando pressioni sulle prestazioni, trasmettendo il messaggio che non contano solo i risultati e i successi, aiutando i figli a valutare sé stessi in modo meno drastico e intransigente, evitando inutili paragoni con gli altri, fornendo per primi un modello di persone che si accettano e non sono eccessivamente critiche con se stesse.
Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
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