Molti conoscono l’esistenza dell’effetto placebo, ovvero l’effetto curativo di qualcosa che di per sé non contiene nessun principio attivo, ma in cui il paziente ripone fiducia. Meno noto è il suo opposto, l’altra faccia della stessa medaglia: l’effetto nocebo. Così come aspettative positive possono di per sé indurre effetti positivi, allo stesso modo aspettative negative e mancanza di fiducia possono di per sé provocare effetti avversi. Anzi, purtroppo l’effetto nocebo si verifica con più facilità rispetto all’effetto placebo, perché in condizioni di preoccupazione e ansia, come quando si è malati o in attesa di una diagnosi o di un trattamento, le informazioni negative vengono recepite e si fissano più facilmente di quelle positive. L’effetto nocebo costituisce un problema significativo, perché può portare a non assumere regolarmente una terapia, a interromperla del tutto, a riportare meno benefici e più effetti avversi rispetto a quelli attesi.
Per “effetto nocebo” (dal latino nocere= nuocere, danneggiare) si intende un evento avverso non dovuto alla terapia (farmacologica o di altro tipo) ma prodotto dalle aspettative del paziente; o anche, la comparsa di un sintomo indotto dalle aspettative negative del paziente o da suggerimenti negativi dati da altri, in assenza di un quadro clinico corrispondente. “Nocebo” indica qualsiasi sostanza o terapia innocua e priva di attività terapeutica intrinseca, ma in grado di provocare reazioni negative a causa della valenza negativa che il soggetto attribuisce alla cura. Ad esempio, se ci aspettiamo che assumere una certa compressa provocherà come effetto collaterale nausea e vomito, possiamo sperimentare davvero questi effetti anche se la compressa che assumiamo è in realtà una sostanza inerte priva di principi attivi. Oppure: ricevere un referto medico sbagliato può indurre il paziente ad avvertire e lamentare i sintomi della malattia diagnosticata, anche se in realtà il soggetto non ne è affetto. O ancora, se ci viene detto che una certa manovra ci procurerà dolore, riporteremo effettivamente più dolore rispetto a un altro soggetto sottoposto alla medesima manovra, ma a cui non è stata anticipata la possibilità di provare dolore.
Si tratta perciò di un autocondizionamento dovuto alle aspettative negative e che dà luogo ad una profezia che si autoavvera. L’effetto nocebo si osserva facilmente in un contesto come quello oncologico, dove, anche se in realtà una quota di pazienti non va incontro a effetti collaterali importanti, la triste fama associata ai farmaci chemioterapici ed esperienze negative ascoltate da altri pazienti rischiano di favorire l’effetto nocebo nei nuovi pazienti, che arrivano già terrorizzati per ciò che immaginano dovranno sperimentare. Anche laddove il farmaco di per sé potrebbe non produrre particolari effetti avversi, il timore di sperimentarli può finire per contribuire alla loro comparsa. Recentemente, in seguito alla somministrazione dei vaccini contro il COVID-19 uno studio dell’Università di Bologna (Mattarozzi et al.) ha indagato il ruolo dell’effetto nocebo, rilevando che le persone che si aspettavano di sviluppare effetti avversi avevano effettivamente più probabilità di sviluppare quegli effetti rispetto a chi non aveva aspettative negative: l’effetto nocebo incideva per il 30% sull’intensità dei sintomi.
Vari fattori concorrono a determinare l’effetto nocebo: precedenti esperienze negative associate a determinati trattamenti, aver assistito o avere notizia di eventi avversi sperimentati da altri, la personalità del paziente, il contesto terapeutico, il tipo di comunicazione usata da chi prescrive la terapia, una scarsa fiducia nei confronti della cura, una scarsa fiducia nel curante. Una personalità tendente all’ansia e all’iperreattività neurovegetativa, al pessimismo e alla catastrofizzazione corre un maggior rischio di sperimentare l’effetto nocebo, così come i soggetti affetti da depressione. La relazione medico-paziente gioca un ruolo fondamentale: chi prescrive la terapia influisce con il linguaggio verbale utilizzato e con la comunicazione non verbale che traspare dal tono, dallo sguardo, dai gesti, influenzando le credenze dei pazienti riguardo a sintomi, effetti collaterali, progressione della malattia.
Com’è possibile che la sola autosuggestione provochi dei sintomi? L’effetto nocebo si realizza attraverso modifiche a livello neurobiologico, psicologico e comportamentale. In primo luogo, un’aspettativa negativa provoca attivazione del circuito dell’ansia, con conseguente modificazione dei livelli di neurotrasmettitori e ormoni, aumento dell’attività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e del sistema della colecistochinina (con produzione di nausea, ansietà, aumento della sensibilità al dolore), riduzione dell’attività del sistema dopaminergico, serotoninergico e oppioide endogeno. La sola aspettativa di provare dolore, attiva gli stessi processi nervosi di percezione del dolore nella corteccia cingolata anteriore e nella sostanza grigia periacqueduttale, che si attivano in presenza di un dolore reale. A livello cognitivo, avviene una focalizzazione su aspetti negativi, l’attenzione è concentrata selettivamente su certi stimoli e vengono percepite selettivamente solo quelle modificazioni a cui ora viene dato un significato patologico, mentre magari erano presenti già in precedenza ma il soggetto non vi prestava attenzione.
L’effetto nocebo può essere prevenuto facendo attenzione a cosa e come si comunica. Quando i pazienti vengono avvertiti dei possibili effetti collaterali dei farmaci, sono molto più frequenti le lamentele di tali effetti avversi, rispetto a quando non vengono informati, risultato che fa ipotizzare l’intervento dell’effetto nocebo. Del resto, sappiamo bene che il solo fatto di leggere il foglietto illustrativo di un medicinale o di effettuare ricerche mediche su Internet, può portarci a sperimentare i sintomi descritti. Meglio non sapere, dunque? Si pone il dilemma della contrapposizione tra la realtà dell’effetto nocebo, da una parte, e il diritto del paziente di essere informato e il dovere del medico di informare, dall’altra. Il compromesso possibile è informare senza allarmare: scegliere accuratamente parole e gesti, evitare frasi ambigue o vaghe che alimentano incertezza, evitare di enfatizzare degli aspetti negativi, fare attenzione a tutto ciò che rende la persona più spaventata e vulnerabile e perciò più a rischio di sviluppare l’effetto nocebo.
Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
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