Con “effetto placebo” si intende il risultato dell’assunzione di una molecola non farmacologicamente attiva. Consiste in un miglioramento della condizione di salute riferito dal soggetto che in realtà ha assunto sotto forma di pillole o liquidi una sostanza inerte (priva di principio attivo), ma che è convinto che la sostanza sarà efficace.
L’effetto placebo si realizza quindi grazie alle aspettative positive del soggetto. Parimenti, esiste anche l’effetto nocebo, ovvero il peggioramento della condizione di un soggetto che sta assumendo una sostanza in realtà inerte, ma che ha delle convinzioni o aspettative negative sull’efficacia della sostanza stessa o ne teme gli effetti collaterali.
Una componente placebo/nocebo c’è nell’azione di qualsiasi trattamento (che sia farmacologico, chirurgico, psicoterapico ecc.), che viene almeno in parte influenzata in positivo o in negativo dalla comunicazione, dalle aspettative, dalle credenze, delle emozioni. La componente placebo contribuisce anzi a rendere più efficace una cura. Se essa viene tolta, somministrando una terapia di nascosto senza che il paziente lo sappia e senza che possa quindi aspettarsi consapevolmente un beneficio, l’efficacia della terapia risulta minore, come è stato ripetutamente osservato con gli antidolorifici: un farmaco somministrato all’insaputa del paziente può essere del tutto inefficace.
L’effetto placebo può consistere in cambiamenti positivi sia fisici che psicologici. Gli studi effettuati rilevano un’efficacia soprattutto su dolore, asma, nausea, fobie, depressione, mal di schiena, colon irritabile, rinite allergica. In generale, funziona di più dove la componente psicologica ha un peso maggiore. Il cambiamento riguarda il modo in cui la persona esperisce i sintomi, e non la patologia sottostante che li causa. In alcuni casi il sintomo viene oggettivamente ridotto, in altri casi il sintomo resta invariato ma il paziente sostiene di sentirsi meglio.
Com’è possibile che avvenga davvero un miglioramento? I meccanismi possono essere diversi:
– il miglioramento può essere percepito perché il paziente che crede nell’efficacia di ciò che assume, concentra l’attenzione solo sui segnali di miglioramento e tralascia i segnali contrari;
– pensare di poter aver beneficio da una cura in cui si ha fiducia, può di per sé comportare modificazioni biologiche come rilascio di endorfine con effetto analgesico, modificazioni del sistema immunitario, del rilascio di cortisolo e altri ormoni dello stress;
– la fiducia nella cura può ridurre l’ansia, che a sua volta incide nel modo un cui viene percepito un sintomo (ad esempio l’ansia aggrava il dolore).
Alcuni miglioramenti osservabili dopo una cura non dipendono né dal farmaco, né dall’effetto placebo. Può trattarsi di remissione spontanea; di un disturbo di breve durata che sarebbe guarito comunque in breve tempo; di una conseguenza del fatto che di solito ci si rivolge al medico nella fase più acuta del disturbo a cui naturalmente segue un miglioramento spontaneo; dell’effetto di altri fattori indipendenti concomitanti, come una dieta diversa dal solito oppure eventi di vita positivi.
Per spiegare l’effetto placebo si fa riferimento a due teorie:
– La teoria del condizionamento classico: stimoli inerti ripetutamente associati a stimoli efficaci, provocano una risposta simile a quella provocata dagli stimoli efficaci. Ad esempio, la tipica forma della compressa, poiché ripetutamente associata nella nostra esperienza a farmaci veri assunti in questa modalità, può divenire essa stessa capace di produrre degli effetti propri del farmaco, anche se la compressa è in realtà composta di una sostanza inerte.
– La teoria dell’aspettativa: l’effetto placebo sarebbe dovuto all’aspettativa, ovvero un tipo di cognizione. Aspettarsi un beneficio corrisponde all’attivazione dei meccanismi cerebrali della ricompensa nei lobi frontali con rilascio di dopamina, che a sua volta provoca effetti come la riduzione del dolore.
Diversi aspetti fisici, psicologici e sociali concorrono a determinare l’intensità dell’effetto placebo: la forma, la dimensione e il colore del farmaco (la pillola grande funziona più della piccola, il liquido iniettabile funziona più della pillola), il costo del farmaco (la pillola costosa funziona più della economica), la ritualità della posologia, le informazioni fornite da chi propone il placebo, le aspettative del paziente. La variabile che incide maggiormente è la relazione di fiducia tra il paziente e il professionista che propone il rimedio con le sue componenti di suggestione e rassicurazione. L’atteggiamento attento dell’operatore, la sua comunicazione improntata a fiducia e positività, la sua capacità empatica aumentano la fiducia nella cura e le aspettative positive, che a loro volta possono tradursi in un miglioramento percepito dal paziente. La risposta al placebo dipende dalla fiducia nella cura, che dipende in gran parte dalla fiducia in chi la prescrive. Ciò può spiegare le esperienze positive di chi si affida alle cosiddette “cure alternative”, in cui viene prestata particolare attenzione alla relazione e a un approccio “olistico”.
Il placebo viene utilizzato negli studi sperimentali per verificare l’efficacia dei nuovi farmaci. Una parte dei partecipanti allo studio assume il farmaco di cui si vuole studiare l’efficacia, mentre un’altra parte assume il placebo. Chi assume il placebo deve essere informato del fatto che stia assumendo un placebo, o meglio, che ci sia il 50% di possibilità che ciò che assume sia il placebo e non il farmaco. Infatti gli studi sono condotti possibilmente in doppio cieco, ovvero né il soggetto né lo sperimentatore sanno chi assume che cosa. Se il farmaco vero produce benefici maggiori di quelli prodotti dal placebo, allora viene considerato efficace.
Nella pratica clinica, accade che gli operatori sanitari utilizzino placebo, soprattutto in caso di richiesta ingiustificata di farmaci oppure nella gestione di dolore, insonnia e ansia, senza informare il paziente che si tratti di un placebo. Tuttavia, utilizzare un placebo mentendo al paziente e facendogli credere che sta assumendo un farmaco solleva chiaramente importanti questioni etiche. Numerosi studi si sono perciò concentrati sul placebo “in aperto”, ovvero il placebo senza inganno, in cui il paziente è informato del fatto di ricevere un placebo, così come avviene negli studi sperimentali. Questi studi hanno rilevato che l’effetto placebo si realizza anche quando il paziente è informato di star assumendo un placebo e che pertanto l’effetto non è dovuto all’inganno. Ciò che conta, è che al paziente sia comunicato che la sostanza placebo si è dimostrata capace di produrre miglioramenti.
Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
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