Sono i familiari, i partner, gli amici stretti, tutte quelle persone che vivono accanto a una persona malata di tumore e ne condividono l’esperienza. Sono quelli che restano in secondo piano, perché tutta l’attenzione è – giustamente – concentrata su chi sta male e gli sforzi di tutti sono volti a venire incontro più possibile ai suoi bisogni. Anche quando vengono chiamati in causa, familiari e amici sono coinvolti sempre con lo scopo di dare una migliore assistenza al malato, che resta il centro e il destinatario delle attenzioni. È raro che ci si interessi direttamente di come stanno loro, che gli si chieda “E tu, come stai?”. Essi stessi tendono a farsi da parte e spesso a trattenersi per lasciare spazio alla persona malata; ad esempio, nel nostro ambulatorio psicologico in Oncologia, spesso esitano a chiedere aiuto per sé nel timore di rubare spazio al malato. Eppure anche chi sta accanto alla persona malata di tumore subisce il contraccolpo psicologico della malattia e spesso vive in qualche misura un disagio o una vera sofferenza: si stima che circa il 30-40% dei familiari presenti un disturbo psicologico conclamato reattivo alla malattia oncologica di un membro della famiglia. I più esposti sono i caregiver, ovvero chi si occupa maggiormente dell’assistenza alla persona malata.
Così come la persona malata attraversa un tipico percorso psicologico di adattamento alla malattia che vede succedersi diverse fasi, dallo shock iniziale, alle rabbia e la paura, alla depressione, fino all’accettazione, lo stesso accade a tutte le persone che hanno un legame affettivo importante con il malato, ma spesso in tempi diversi e di solito in ritardo. Così accade che mentre il malato è ormai giunto a una accettazione della sua condizione, il familiare possa ancora trovarsi nella fase della rabbia e questo comporta molto frequentemente incomprensioni. Come la persona malata adotta dei meccanismi di difesa per proteggersi dall’angoscia della malattia, lo stesso accade ai familiari. Anche in questo caso meccanismi diversi o addirittura opposti possono dar luogo a incomprensioni. Come il malato ha un suo stile per fronteggiare la malattia, ovvero dà al tumore un certo significato e mette in atto di conseguenza certi comportamenti, così i familiari hanno il proprio. Spesso gli stili sono diversi, ad esempio il malato ha uno stile fatalista mentre il familiare uno stile più attivo e combattivo, uno può trarre giovamento dal parlare con tutti della malattia mentre l’altro lo evita per sentirsi meglio, e di nuovo possono insorgere divergenze e contrasti su quale sia il modo migliore di affrontare la malattia.
Si tende a dimenticare che anche i familiari possono avere un livello di sofferenza pari a quello del malato. Tipicamente (e accadeva ancora di più in passato), in ambito medico si tende ad essere molto prudenti nella comunicazione delle cattive notizie con il diretto interessato, mentre in sua assenza, ai suoi familiari, le comunicazioni vengono date in modo più diretto e a volte brusco, senza considerare che anch’essi possono avere diversi gradi di capacità di tollerare cattive notizie e che possono presentare meccanismi di difesa che deformano la comunicazione.
Le persone vicine al malato possono reagire in modo diverso. Nella maggior parte dei casi, nella famiglia e nella coppia si attiva un atteggiamento di protezione, in cui aumenta la vicinanza tra le persone, i conflitti vengono lasciati da parte per attivarsi per dare sostegno alla persona malata. Nelle situazioni ideali, i problemi vengono discussi insieme ed è possibile parlare liberamente sia della malattia, che dei sentimenti e bisogni di ciascuno. In altri casi la vicinanza diventa eccessiva e si diventa iperprotettivi verso la persona malata, con una continua attenzione e premura nei suoi confronti che può diventare soffocante per la persona malata e che può limitare la sua autonomia fino a spingerla a protestare perché si sente trattata come se fosse ancora più malata di quanto in effetti sia. In altri casi ancora, invece, la reazione è di distanziamento, di disimpegno o di delega a qualcun altro della cura della persona malata, con uno scarso supporto reciproco. Di solito, se c’erano già delle difficoltà relazionali, queste vengono accentuate dalla malattia.
Familiari e amici solitamente cercano di nascondere le proprie emozioni, di non farsi vedere tristi, possono simulare un forzato ottimismo per cercare di non appesantire la persona malata e per incoraggiarla, tuttavia questo può essere vissuto male. Accade molto spesso che i tentativi di sdrammatizzare, fatti in buona fede per infondere speranza al malato, vengano vissuti come superficialità, disinteresse o scarsa comprensione della gravità del problema. In realtà è proprio l’opposto, maggiore è la preoccupazione e maggiore è il tentativo di dissimularla pensando di fare il bene della persona malata.
Nella coppia si creano incomprensioni soprattutto nella sfera sessuale, dove ognuno attribuisce all’altro pensieri e sentimenti e sulla base di questi agisce, senza avere una comunicazione chiara. Ad esempio, i partner possono sentirsi in difficoltà nel cercare un contatto sessuale temendo di essere pressanti o inopportuni, la persona malata può interpretare questa esitazione come disinteresse o rifiuto e a sua volta ritirarsi ulteriormente, dando luogo a un circolo di fraintendimenti.
Anche gli amici possono provare emozioni molto intense e frequentemente non sanno come comportarsi. Mentre i familiari sono costretti, volenti o nolenti, a comunicare con la persona malata dal fatto di condividere maggiormente spazi di vita o occasioni di incontro, gli amici entrano in crisi perché non sanno come comportarsi, se avvicinarsi o meno, se proporsi o attendere, temono di disturbare e soprattutto, hanno paura di non sapere cosa dire per confortare, temono di non saper trattenere le lacrime, rimandano la telefonata per la loro stessa ansia di non sapere come gestire la situazione. Quasi ogni malato oncologico ha una lista nera di amici e conoscenti che sono spariti, che pur sapendo della malattia non si sono fatti più sentire, una constatazione che causa grande rabbia e sofferenza e il pensiero che gli amici siano disinteressati, insensibili, superficiali. In realtà non è sempre così, ho incontrato molti familiari e amici di persone malate bloccati dall’incapacità di avvicinarsi e profondamente sofferenti per la propria difficoltà ad essere di sostegno all’amico malato.
In generale, chi vive accanto a un malato oncologico è sottoposto a un grosso stress e deve trovare un equilibrio tra l’essere un sostegno per la persona malata e il proteggersi da un carico eccessivo che può finire per schiacciarlo. Alcuni caregivers si annullano per assistere la persona malata, dedicandosi completamente alla sua cura, ma così rischiano di esaurire ogni energia e non essere più capaci di dare quell’aiuto che ritengono così importante. Solo prendendosi cura di sé, ci si può prendere cura dell’altro.
Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
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