Se l’istinto ci spinge a contenere e controllare una crisi epilettica, sembra invece essere più appropriato restare calmi e in osservazione. Per conoscere in modo approfondito l’epilessia abbiamo incontrato il dott. Carlo Ciarmatori, Direttore U.O.C. Neurologia-Jesi.
Cos’è l’epilessia?
«Bisogna differenziare tra malattia epilettica e crisi epilettica. Quest’ultima può essere la conseguenza di fattori contingenti (squilibrio elettrolitico, alterazione metabolica, tossicosi
da droghe o farmaci, ecc.) oppure di una qualche patologia pregressa o recente subìta dall’encefalo: malformazioni congenite, danni traumatici contusivi, encefaliti, neoplasie (epilessia secondaria o sintomatica); però può anche essere espressione di una patologia epilettica idiopatica (primaria, genetica o probabilmente tale), ossia della cosiddetta malattia epilettica in senso stretto. Comunque è sempre causata dalla scarica abnorme di una circoscritta popolazione di neuroni (focus epilettogeno): può rimanere latente oppure manifestarsi e, in tal caso, con sintomatologia differente a seconda dell’area di partenza e sede del focus e dell’eventuale area cerebrale coinvolta nella propagazione di questo. Da quanto appena detto si evince l’importanza della ricostruzione dettagliata della semeiologia della crisi: per localizzare il focus e la sua area di propagazione, dunque per individuarne la tipologia… tutti elementi essenziali a definirne l’eziologia e la prognosi, dunque anche la strategia terapeutica».
Quando e come si manifesta nel bambino e nell’adulto ?
«Tutte le età possono essere coinvolte, sia nel caso di epilessie dovute ad una lesione cerebrale (epilessie secondarie) sia che si tratti di epilessie idiopatiche o primarie. Sebbene quelle ad esordio precoce e tardivo siano più spesso lesionali –rispettivamente encefalopatie perinatali e neoplasie cerebrali– forme epilettiche idiopatiche possono riscontrarsi a qualunque età. E’ ovvio che alcune tipologie di lesioni si riscontrano in alcune età e non in altre. Le modalità di manifestazione sono assai eterogenee: alcune sono tipiche del periodo neonatale ed infantile; in generale, però, dipendono dalla sede del focus e dalle rispettive aree cerebrali coinvolte nella propagazione di questo. Allora possiamo avere molte tipologie di crisi: convulsive (generalizzate, oppure interessanti una metà del corpo, oppure circoscritte ad una sola parte di questo: irrigidimento degli arti; contrazioni muscolari ritmiche o aritmiche); assenze caratterizzate da perdita del contatto con l’ambiente, più o meno prolungata, con o senza cadute; crisi che si esprimono esclusivamente con sensazioni percepite dal soggetto: sensazioni tattili, visive, uditive, gustative-olfattive (allucinazioni)».
Che problematiche può causare nella quotidianità? Intacca la propria autonomia?
«L’impatto delle crisi nelle attività quotidiane del soggetto che ne è affetto dipende dalla tipologia delle stesse, ossia dalla loro semeiologia, oltre che dalla loro frequenza. Impatto rilevante hanno quelle caratterizzate da interruzione del contatto con l’ambiente, e quindi l’assenza, specie se prolungata. Impatto maggiore hanno quelle con caduta improvvisa, donde il rischio di traumatismi. Ancora maggiore quelle ad esordio o evoluzione convulsiva, dunque con contrazioni anche violente degli arti, possibile morsus della lingua, talora incontinenza urinaria, recupero graduale della coscienza durante uno stato amnesico e/o di agitazione confusa. Sono queste le crisi che di più intaccano l’autonomia del soggetto e quelle che di più richiedono una completa soppressione mediante adeguata terapia farmacologica. Questa però serve ad impedire il manifestarsi delle crisi, non a curare l’epilessia. L’evoluzione di questa, infatti, dipende dalla possibilità o meno di eliminarne chirurgicamente la causa (nelle forme lesionali), oppure dall’andamento favorevole o meno della malattia epilettica (nelle forme idiopatiche). Ecco perché è cruciale, quando possibile, l’inquadramento diagnostico dell’epilessa in questione: definizione semeiologica delle crisi, età di esordio delle stesse e loro frequenza, reperto EEG in veglia e durante il sonno, riscontro RMN; altrettanto importanti sono la completa negatività dell’obiettività neurologica e psichica del soggetto. Tutto questo serve per inserire –quando possibile– le crisi in questione in un complesso sindromico già codificato e, in quanto tale, ben noto in tutti i suoi aspetti: eziologia, prognosi terapia».
Le cause si possono prevenire?
«Solo per alcune forme di epilessia lesionale, quelle le cui cause sono state drasticamente ridotte dal contenimento di alcuni fattori: per esempio i traumatismi cerebrali che ormai da anni sono venuti a diminuire grazie ad una campagna di prevenzione degli incidenti stradali. In particolare nei giovani con l’obbligo di uso del casco nella guida dei motoveicoli. In neonatologia, tanto per fare un altro esempio, è stata la quasi scomparsa dei traumi da parto a ridurre la quota di encefalopatie perinatali, ma anche una migliore prevenzione durante la gravidanza, nonché una maggiore attenzione ai danni malformativi del feto».
Come si riesce a monitorare nel tempo?
«Garantendo una consulenza epilettologica che oggi viene erogata dal neurologo nell’ambito dell’Ambulatorio Divisionale. In tale sede i pazienti vengono seguiti sia sotto il profilo clinico sia farmacologico: sono prescritti i controlli ematologici, il dosaggio dei farmaci antiepilettici, i controlli elettroencefalografici. Inoltre, i pazienti e i familiari possono avere informazioni adeguate relative all’acquisizione della patente di guida, nonché ai comportamenti da tenere in caso di gravidanza».
Come ci si accorge di esserne soggetti?
«Quando capita la prima crisi. Questa può accadere in occasione di una situazione di stress con disturbo del ritmo sonno-veglia, per esempio dopo una notte in discoteca o durante un campeggio. Quasi mai passa inosservata perché di solito si tratta di una perdita di coscienza, di improvvise contrazioni o scosse degli arti, di un disturbo del linguaggio con difficoltà ad esprimersi, di stati amnesici o confusionali. Raramente, invece, si tratta di sensazioni particolari che solo il soggetto percepisce».
Una crisi epilettica perché fa così paura a chi si trova vicino ad una persona epilettica? E cosa succede nel paziente?
«Perché lo stereotipo che noi tutti abbiamo della crisi epilettica è quello della convulsione generalizzata (Grande Male): improvvisa perdita di coscienza talora accompagnata da urlo, irrigidimento degli arti e del tronco e caduta a terra con denti serrati e blocco dei muscoli toracici e respiratori (crisi tonica). Dura circa 20-30’’ ed il soggetto diventa cianotico. E’ del tutto inutile, e può essere dannoso per il paziente, cercare di aprirgli la bocca o porre in atto manovre per farlo respirare. Alla fase tonica segue una fase clonica caratterizzata da contrazioni più o meno scuotenti degli arti. Anch’essa dura circa 30’’: intanto riprende il respiro e compare bava alla bocca. Segue un sonno profondo con respiro russante, poi un graduale recupero con stato post-critico amnesico e/o confusionale. Può indubbiamente spaventare, specie chi non l’ha mai vista prima: il soggetto non è assolutamente in pericolo di vita, e presto recupererà completamente».
Cosa bisogna fare per soccorrere chi sta avendo una crisi?
«Impedire che, nello svolgimento della crisi, il soggetto si procuri un qualche danno. In caso di improvvisa caduta, si dovrebbe cercare di sorreggerlo e accompagnarlo a terra in modo che non urti violentemente. Nel corso di violente convulsioni, non cercare di contenere o impedire il movimento degli arti, semmai evitare che questi urtino contro ostacoli. In caso di vomito adagiare il soggetto in posizione di sicurezza, sul fianco sinistro. In caso di perdita del contatto (assenza) se sono presenti automatismi deambulatori o gestuali assistere il paziente perché questi non compia movimenti che possono essergli nocivi».
Un avvertimento da dare a chi assiste?
«Se avete capito che si tratta di una crisi epilettica, mantenete la calma e, pur adoperandovi per essere utili mettendo in atto i consigli di cui sopra, cercate di osservare più attentamente possibile il comportamento del soggetto. Sarete un testimone oculare, estremamente utile al medico che si prenderà cura del paziente, utile nel fornirgli elementi preziosi all’inquadramento diagnostico della forma epilettica».
Per quanto riguarda il bambino, come reparto, avete una collaborazione stretta con il reparto di Pediatria?
«Le epilessie in genere, specialmente quelle idiopatiche, sono tipiche dell’età evolutiva e molte sono età-dipendenti ed in quanto tali destinate a scomparire nel passaggio dall’infanzia all’età scolare o da questa all’adolescenza. Quelle non età-dipendenti persisteranno nell’età adulta e diventeranno di pertinenza di noi neurologi. La nostra U.O.C. di Neurologia è dotata di un Servizio di Elettro-encefalografia che da sempre serve sia pazienti degenti sia ambulatoriali: adulti, bambini ed anche neonati. Esso era funzionante prima della nascita della stessa Divisione di Neurologia nel 1973, grazie ad un elettroencefalografo all’epoca donato dal Primario della locale Pediatria, il dott. Primo Bini. Da allora ad oggi è sempre esistita questa forma di collaborazione tra noi della Neurologia e la Pediatria. Oltre 20 anni fa esportammo la nostra attività di consulenza all’Ospedale di Fabriano e, nel corso degli anni, abbiamo anche lì replicato il nostro modello di collaborazione con la locale Pediatria. In questi ultimi anni è stata la carenza nelle locali Pediatrie, sia a Jesi che a Fabriano, di medici specialisti in Neurologia Pediatrica (Neuropsichiatria Infantile) a rendere ancora più opportuno il nostro coinvolgimento: da qui l’intenzione da parte nostra di estendere la collaborazione non solo alle epilessie ma anche ad altre patologie neurologiche, come abbiamo già fatto, per esempio, per le cefalee. Proprio l’articolo sulle cefalee pubblicato su Portobello’s n. X/2015 è stato arricchito dalla collaborazione e disponibilità della dott.ssa Nelia Zamponi – della Neuropsichiatria Infantile del Salesi».
Agnese Testadiferro