Le fazioni opposte dei nostalgici e dei progressisti si scontrano abitualmente sui social, anche a colpi di vignette sagaci che enfatizzano la contrapposizione tra modelli educativi attuali e passati: «Se avessi risposto in quel modo a mio padre, starei ancora a contare i denti per terra! E faceva bene, bisogna farsi rispettare», «Ah, allora meglio tornare alle cinghiate sulla schiena? Coi figli bisogna dialogare!», «Ai miei tempi, quello che diceva l’insegnante non si discuteva!», «Ma anche gli insegnanti, però… pretendono troppo dai nostri poveri figli!», e gli esempi sarebbero infiniti.
Nel corso di qualche decennio, i modelli educativi e il rapporto tra genitori e figli sono profondamente cambiati. In passato i genitori erano meno attenti ai bisogni dei bambini, c’erano meno conoscenze sulla loro psicologia e sulle loro peculiarità. Oggi c’è molta più attenzione verso i bisogni e i diritti dei bambini e i genitori sono più empatici e capaci di sintonizzarsi con i figli.
La posizione normativa, di chi trasmette e fa rispettare regole, è retrocessa sullo sfondo, fino in certi casi a scomparire completamente. Il modello educativo è cambiato, passando dalla famiglia tradizionale, “normativa”, incentrata sull’obbedienza del figlio e la sua sottomissione al volere degli adulti, a quella attuale, “affettiva”, molto più attenta agli aspetti emotivi dei suoi membri e più morbida nel dare regole, col tentativo di non imporle con l’obbligo ma di farle accettare attraverso il dialogo, aiutando i figli a comprenderle, giustificando e spiegando l’intervento del genitore. Fino a qualche decennio fa, anche una quota di sofferenza dei figli era contemplata se necessaria alla loro educazione, con la convinzione che fosse per il loro bene, arrivando però a giustificare, con questo, anche la punizione fisica. Oggi la relazione è prioritaria e per timore di danneggiarla, di provocare dolore e sofferenza ai figli e di perdere il loro amore, si corre invece il rischio di abdicare alla responsabilità genitoriale di porre limiti e regole.
Il rapporto tra genitore e figlio è diventato meno sbilanciato, meno asimmetrico, più paritario. La distanza del passato e l’assenza di comunicazione e confidenza sono state colmate in favore dello scambio, del confronto e della possibilità di dare conforto e incoraggiamento. Un azzeramento della distanza comporta però il rischio che il figlio guadagni uno pseudoamico ma perda la fondamentale e insostituibile guida del genitore, la sua funzione di educatore che indirizza e contiene, trascurata in favore di una confidenza che però non aiuta il figlio e ne ostacola l’autonomia.
In passato accadeva più frequentemente che fossero i genitori a decidere per i figli, dalle piccole questioni quotidiane fino alle scelte più importanti e impegnative, fino persino alla scelta del partner. Oggi certe imposizioni arbitrarie da parte dei genitori ci appaiono inconcepibili, è pensiero comune che un figlio abbia il diritto e la libertà di seguire le proprie inclinazioni, assecondare i propri gusti e interessi, realizzare i suoi progetti. La famiglia attuale riconosce e incoraggia nei figli l’espressione di sé e della creatività. Non a caso, gli adolescenti del passato erano maggiormente impegnati a opporsi, contestare, ribellarsi ai genitori per rivendicare il diritto di esprimersi, mentre gli adolescenti di oggi sono piuttosto alle prese con la vergogna e il sentimento depressivo di non riuscire a corrispondere alle aspettative nei confronti di se stessi.
La libertà di decidere lasciata ai bambini e ragazzi di oggi diventa persino eccessiva, quando li carica della responsabilità su decisioni che non sono in grado di prendere e che i genitori dovrebbero mantenere su di sé, come quando si chiede a un bambino, ad esempio, se vuole andare a dormire o no, se vuole andare a trovare o meno i nonni, lasciandolo senza delle regole chiare da seguire, oppure lo si investe di un carico che non gli compete su decisioni che non lo riguardano, come mettere al mondo un altro figlio o frequentare un nuovo partner dopo una separazione.
D’altra parte, l’influenza dei genitori sulle scelte dei figli, apparentemente molto minore che in passato, si è spostata su un altro piano, è meno evidente, più subdola e per questo forse anche più opprimente. I genitori di oggi tendono maggiormente a identificarsi col figlio, rischiando di vederlo come un prolungamento o una riedizione di sé, di non riconoscere e accettare la sua individualità e i suoi desideri, ma di utilizzarne la vita come campo di realizzazione personale, trasferendo su di essa i progetti che dovrebbero invece riguardare la propria. Il fatto di avere, spesso, un unico figlio, quasi sempre desiderato e programmato, acuisce la tendenza a concentrare su di esso aspettative e aspirazioni, consente di avere molte risorse da dedicargli, ritardandone anche l’emancipazione e l’uscita dalla famiglia, e ammorbidisce la disciplina, non essendoci la necessità di tenere a bada una prole numerosa come in passato.
Il ruolo del padre e della madre sono cambiati nel tempo. Fino al secolo scorso il padre era assente emotivamente nella crescita dei figli, chiamato in causa solo per somministrare punizioni, figura temuta dai figli e affettivamente distante, impegnata nel mantenimento economico della famiglia. Alla madre era invece riservata la dimensione affettiva, più calda, supportiva e accogliente. Oggi la funzione paterna e materna sono molto più vicine e intercambiabili, i padri cercano di trovare una propria identità e le madri di trovare un compromesso per conciliare maternità e altre importanti dimensioni della propria esistenza.
Tra le posizioni estreme dei nostalgici e dei progressisti di cui dicevo all’inizio, occorre sperimentarsi e allenarsi in una sana via di mezzo, che salvaguardi giustamente i bisogni di bambini e ragazzi, senza tuttavia abdicare ai compiti di genitore.
Dott.ssa Lucia Montesi
Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
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