Quando una coppia con figli minorenni si separa, una delle questioni più importanti da affrontare riguardo ai figli è il loro collocamento, ovvero con quale genitore abiteranno. Il collocamento è un concetto distinto da quello di affidamento: il collocamento riguarda solo l’aspetto abitativo e quindi la dimora abituale del minore, mentre l’affidamento riguarda le scelte su crescita, istruzione ed educazione dei minori che di regola spettano ad entrambi i genitori, nel caso più comune di affidamento congiunto.
I possibili tipi di collocamento
Il criterio generale seguito dalla legislazione in caso di separazione, è il diritto del figlio a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore, a ricevere cura, istruzione ed educazione da entrambi e a mantenere il rapporto con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Nel collocamento paritario, i figli trascorrono un tempo equivalente con la madre e con il padre, ad esempio un mese a casa dell’uno e un mese a casa dell’altro, ma spesso si concilia poco con esigenze pratiche e organizzative e soprattutto con l’interesse del minore costretto continuamente a spostarsi.
Nel collocamento prevalente, la formula più utilizzata, il figlio abita per la maggior parte del tempo con uno dei genitori e incontra l’altro in tempi specifici.
Nel collocamento invariato il figlio resta nella casa di famiglia e sono i genitori che si alternano e vivere con lui, soluzione che permette al minore una stabilità dell’ambiente ma è anche difficilmente praticabile per i genitori.
In caso di disaccordo tra i genitori sulla scelta del collocamento e sui tempi di frequentazione è il Giudice a decidere, tenendo conto dell’interesse superiore del minore. La decisione dovrebbe permettere di tutelare la salute fisica e psicologica del minore, come criterio prioritario.
Il parere dei figli minorenni
Solo i figli maggiorenni possono effettivamente scegliere il genitore con cui stare, ma anche i minorenni hanno voce in capitolo. L’ascolto della volontà del minore da parte del Giudice (quello che si occupa della separazione dei genitori) è infatti obbligatorio nel caso abbia compiuto i 12 anni, ma è possibile anche prima nel caso il minore sia considerato capace di discernimento, ovvero in grado di elaborare dei concetti e di esprimerli in modo autonomo.
Si ritiene che prima dei 10 anni questa capacità non sia ancora acquisita e che il bambino non abbia la maturità e consapevolezza per decidere su questi aspetti, pertanto, salvo casi particolari, il figlio minore può di fatto essere chiamato a esprimere il suo parere dopo i 10 anni, e comunque obbligatoriamente dopo i 12. Più l’età si avvicina ai 18 anni, più i ragazzi riescono a manifestare la propria volontà con chiarezza e certezza e ad essere consapevoli delle conseguenze delle loro scelte, più il loro parere viene preso in considerazione. Per valutare la capacità di discernimento sotto i 12 anni, il Giudice può avvalersi di tecnici come psicologi o neuropsichiatri infantili.
L’ascolto del parere del minore consegue al riconoscimento del suo fondamentale diritto ad essere informato e ad esprimere la propria opinione nei procedimenti che lo riguardano ed offre elementi essenziali per agire nel suo interesse, tanto che il Giudice deve motivare la propria decisione nel caso disattenda nei suoi provvedimenti la volontà del minore o nel caso decida di non ascoltare il minore, valutando che l’ascolto sia superfluo o possa danneggiarlo.
D’altra parte, il parere del minore non è vincolante, perciò non si può dire che sia il figlio a decidere con quale genitore vivere ed è anche opportuno che non abbia su di sé questa responsabilità, ma sarà il Giudice a decidere nell’interesse del minore, una volta raccolti tutti i pareri: il minore è chiamato ad esprimere i suoi desideri e il suo punto di vista, e anche il colloquio con il Giudice non è un interrogatorio che si riduce alla domanda “Chi scegli?” ma un dialogo che spazia sui diversi aspetti della vita del bambino o del ragazzo, tra cui anche il luogo in cui vivere e la relazione con i genitori. Bambini e ragazzi solitamente sono felici di poter dire la loro ed è infondato il timore che il colloquio possa essere traumatico, salvo il caso in cui i genitori cerchino di condizionare il parere.
Quando assecondare il parere dei figli non sarebbe un bene
Può accadere che i figli vengano manipolati e condizionati da uno o da entrambi i genitori riguardo alla decisione da prendere, che subiscano delle pressioni psicologiche, ricatti emotivi, che siano portati a schierarsi con l’uno o l’altro genitore e questo di solito non sfugge a chi conduce l’audizione dei minori.
In altri casi, la scelta di vivere con un genitore invece che con l’altro è legata a motivi di comodo o alla possibilità di avere dei privilegi, ad esempio scegliendo il genitore più permissivo, quello che sorvola sulle regole, quello che concede più libertà, quello che più facilmente accorda regali o denaro.
Può anche accadere che un figlio voglia vivere con un genitore maltrattante, trascurante o violento. In questi casi, assecondare la volontà espressa da bambini e ragazzi non andrebbe nella direzione di una tutela di un loro sviluppo sano.
Una scelta difficile
Ogni genitore si aspetta o comunque in cuor suo spera che il figlio voglia restare a vivere con lui/lei e apprendere che il figlio desidera stare con l’altro genitore è vissuto con dolore e spesso solleva sensi di colpa: “Dove ho sbagliato?”, “Perché non vuole stare con me?”. Questo accade soprattutto alle madri nel caso in cui i figli esprimano il desiderio di vivere con il padre. Fino a non molto tempo fa si dava per scontato che in caso di separazione i figli restassero a vivere con la madre e questa preferenza materna si basava sul considerare la madre come la figura più coinvolta nella crescita ed educazione dei figli, considerando implicitamente il genere femminile come quello più adatto alla cura della prole.
Oggi le normative si ispirano a criteri di neutralità rispetto al genere del genitori e privilegiano i criteri della bigenitorialità e della parità genitoriale; anche se il principio della preferenza materna continua ad essere applicato soprattutto per i figli più piccoli, non può essere assunto come una verità indiscutibile, non deve essere automatico e deve essere valutato caso per caso, in quanto anche i padri possono essere in grado di offrire stabilità, sicurezza e continuità e il collocamento presso il padre non deve avvenire solo nei casi di inadeguatezza materna.
La preferenza di un figlio per un genitore non significa rifiuto dell’altro e non significa che l’altro sia inadeguato; non equivale inoltre a un premio per l’uno e una punizione per l’altro. Come accade ai genitori di avere una preferenza per un figlio o un altro dovuta a una maggiore sintonia, una maggiore affinità, una maggiore somiglianza, una maggiore confidenza, senza che questo implichi amare di più uno e di meno un altro, così anche i figli, soprattutto adolescenti dai 15 ai 17 anni, sono ben consapevoli di che tipo di rapporto hanno con i genitori e possono orientarsi verso quello con cui si trovano più a loro agio o con cui c’è una maggiore capacità di comunicazione o un rapporto meno conflittuale, senza che questo significhi amare meno l’altro genitore.
Di fronte a una preferenza espressa da un figlio, è importante evitare la colpevolizzazione sia di sé stessi, nel caso il genitore scelto sia l’altro, sia del figlio come “traditore” o ingrato. Anche per i figli scegliere solleva profondi sensi di colpa e la paura di ferire e far soffrire un genitore qualora preferiscano vivere con l’altro e hanno particolarmente bisogno di sentirsi compresi e sostenuti.
Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
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