«Lucia ha fatto la visita medica. Mh, sì, tutto bene, è cresciuta il giusto» – tono non molto entusiasta– «ma Paola, invece…ho saputo che è arrivata a quaranta chili tondi tondi!», e su quel “tondi tondi” le brillavano proprio gli occhi. E nonna in risposta sospirava sognante: «Eh, quella sì, che bella fiolona (traducibile con “grossa figliola”)!». Tutte le volte, sistematicamente, dopo la visita medica che ci facevano alle elementari, assistevo allo stesso scambio di battute tra mamma e nonna. Il tutto si svolgeva a pranzo, per essere maggiormente in tema. Ora, alle elementari io non mi intendevo di indice di massa corporea, ma avevo comunque già capito che la mia amichetta di giochi Paola non era una “bella fiolona” ma era obiettivamente e pericolosamente in sovrappeso. E ogni volta non capivo perché io che avevo un peso normale (forse una delle poche cose normali tra i numerosi problemi di salute) dovessi risultare, nel confronto, quella che non andava bene. E se la ragione mi faceva vedere lucidamente la realtà, le emozioni però erano molto più confuse e sgradevoli: «Ecco, anche stavolta lei è cresciuta di più, non la raggiungerò mai». Io ero sempre quel tot di chili indietro, e guardavo sconsolata le tagliatelle nel piatto, pensando che, tanto, più di quelle io non sarei riuscita a mangiare neanche sforzandomi.
Anche l’altra mia nonna periodicamente se ne usciva con la sua temibile domanda: «Quanto sei alta?», a cui seguiva automaticamente l’altra, ancora più temibile, sulla mia compagna di classe: «E Barbara?», con la consueta conclusione: «Barbara è più alta di te!». E io odiavo lei e Barbara, e pensavo che non c’era partita, che per quanto ti sforzi, la tua altezza non potrai mai cambiarla.
Quante volte facciamo paragoni tra i bambini? Di solito paragoniamo dei comportamenti, nell’intento di indurre a modificare quello che riteniamo problematico: «Vedi tuo fratello, com’è ordinato?», «Guarda i tuoi compagni, non sono frignoni come te!», «Vorrei che fossi responsabile come tua sorella», «Perché nel compito in classe Luca ha preso nove e tu solo sei?». Io ero una bambina molto brava e abbastanza obbediente e ho potuto evitare questo genere di confronti, ma non sono sfuggita a quelli sulle caratteristiche fisiche, fatti di solito più inconsapevolmente. È raro, insomma, che si possa crescere evitando di essere messi di fronte a un qualche tipo di paragone.
Eppure, non ho mai sentito nessuno dire di essere stato aiutato in qualche modo dall’essere messo a confronto con qualcun altro. L’effetto è sempre stato, piuttosto, una reazione di rabbia, di mortificazione, di abbattimento, di invidia, di gelosia.
Tutti diremmo che non ha senso fare paragoni su caratteristiche non controllabili come altezza, corporatura, colore di occhi e capelli, eppure li facciamo costantemente, credendoli innocui e ignorando quali corde possono toccare nell’animo di un bambino. Ma anche i più plausibili paragoni fatti sui comportamenti, col fine di spronare una persona a prendere ad esempio un’altra, sono quasi sempre inutili, destinati al fallimento o controproducenti. Anche le poche persone che sono riuscite a prenderli come una sfida, a trarne la motivazione per migliorare, hanno dovuto pagare il prezzo della rabbia e della spiacevole urgenza di una rivalsa sempre venata di rancore.
Tutti noi ci specchiamo nello sguardo dell’altro, in particolare di chi amiamo, e abbiamo bisogno di sentirci accettati, apprezzati per come siamo. Per i bambini vale ancora di più. Ogni bambino è diverso, ha una sua personalità, un suo ritmo di sviluppo, ed essere messo a confronto con un altro può farlo sentire sotto pressione, fargli perdere fiducia e stima in sé stesso, fargli temere di essere una delusione per i genitori. Per stimolare a migliorare un comportamento, è molto più utile e sano partire dal positivo, valorizzando ciò che un bambino già possiede e aiutandolo a rinforzare le strategie che si sono rivelate più utili, facendo semmai un paragone con i comportamenti passati e con i progressi avvenuti, piuttosto che con altre persone; aiutarlo insomma a vedere le sue risorse e i suoi punti di forza, piuttosto che quelli di altri, che magari non sarà mai capace di eguagliare anche con tutto l’impegno. Così lo sforzo per migliorarsi può essere semmai una più soddisfacente sfida con sé stessi, un affinare ulteriormente le proprie qualità, con un senso di gratificazione e di appagante autonomia.
Dott.ssa Lucia Montesi
Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Tel. 339.5428950