JESI – Il concetto di donazione del sangue si è sviluppato nel XXesimo secolo. Era il 1925 quando ad Ancona il dottor Cappelli fondò la prima associazione di volontariato a scopo umanitario, mentre a Milano il dottor Formentano fondò la prima Avis nazionale. La storia dell’Avis jesina, e quella della donazione di sangue nel corso dei secoli, sono i temi affrontati questa mattina dal presidente del sodalizio jesino Bruno Dottori, dalla dottoressa Virginia Fedele, direttore del presidio ospedaliero e dalla dottoressa Manola Trillini del reparto di Medicina trasfusionale, in occasione di “Medicina per Me!” a Palazzo dei Convegni.
Già Plinio il Vecchio tramanda racconti sui gladiatori nelle arene. «All’epoca il sangue si beveva – ha raccontato Fedele -. Gli antichi avevano capito che animali e persone, se perdevano sangue copiosamente, morivano, ma non sapevano come effettuare la trasfusione. Qualcosa di più simile alle attuali trasfusioni avviene nel 1492 ma non ebbe l’esito sperato. Si sono usati i salassi ed altre tecniche superate, poi, nel tempo, soppiantate dagli attuali e moderni mezzi che consentono di arrivare a percentuali di rischio molto vicine allo zero».
La dottoressa Trillini ha spiegato l’attività del Centro Trasfusionale del “Carlo Urbani” che si occupa di donazione di sangue, del cordone ombelicale, delle cellule staminali da midollo osseo a cui vanno aggiunte le attività del laboratorio, la distribuzione nei reparti, la lavorazione e la conservazione del sangue. «Aspetti importati – ha evidenziato Trillini – perché dalla lavorazione si ricavano farmaci emoderivati salvavita che non possono essere prodotti sinteticamente. Le analisi del sangue sono importanti per chi dona e chi riceve per evitare epatiti, contagi da Hiv ed altre patologie che, si badi bene, non sono aumentate solo in relazione ai flussi migratori ma anche perché si viaggia di più».
Da una unità di sangue si possono ricavare tre componenti: sangue intero, piastrine e plasma cioè si possono salvare tre persone. Dati importanti visto che si stima come nel mondo ogni due secondi una persona abbia bisogno di sangue. Nel 2016 tramite il servizio di Medicina Trasfusionale della Regione Marche e vista l’eccedenza di plasma, le aziende private hanno lavorato 30mila flaconcini di plasma derivati che sono stati donati alla Cooperazione Internazionale in Afganistan.
La dottoressa Trillini ha sottolineato l’importanza di uno stile di vita sano, offrendo consigli semplici: «La mancanza di ferro è un problema diffuso: la Vitamina C ne facilita l’assunzione mentre tè o caffè andrebbero consumati una o due ore lontano dal pasto, in caso di carenze di ferro, perché ne inibiscono l’assorbimento».
Oggi l’importanza della donazione del sangue è diffusa anche grazie alle realtà territoriali: l’Avis di Jesi festeggia 70 anni dalla sua fondazione. «L’Avis jesina ha 1600 donatori attivi e 560 ex soci a risposo che sono come gioielli in cassaforte, sono la nostra storia – ha raccontato Bruno Dottori, presidente della sezione jesina -. Basti pensare a Romolo Cesaroni, che con 218 donazioni vanta un record assoluto. La storia dell’Avis jesina è fatta di grandi personaggi, uomini e donne, che donavano denaro e tempo solo per aiutare gli altri poiché all’epoca di emorragia si moriva». Nel tempo si sono alternate situazioni di emergenza e carenze, come la corsa alla donazione dopo gli eventi sismici del 2016.
Ma non bisogna abbassare la guardia: «La vera emergenza – ha aggiunto Dottori – c’è quando mancano i medici. Attualmente il Centro Trasfusionale del “Carlo Urbani” lavora su turni di 12 ore (H12), mentre gli altri centri dell’area vasta lavorano in H6, nonostante il numero dei medici sia lo stesso e cioè tre e mezzo a Jesi e tre e mezzo a Senigallia (“mezzo” perché un medico fa metà servizio a Jesi e l’altra metà a Senigallia) e tre a Fabriano. L’Avis è preoccupata perché a breve un medico da Jesi sarà trasferito a Fano e non si vede la strada per la sostituzione. Se non dovesse arrivare un sostituto sono a rischio le uscite sui centri di raccolta esterni».