Benessere

Ictus: l’importanza di riconoscerlo in tempo

Il “colpo” rappresenta la terza causa di morte in Occidente, per cui è fondamentale la prevenzione. A Jesi è in funzione la prima Stroke Unit delle Marche: ecco come funziona

Ictus, siamo sicuri di saperne abbastanza? Gli esperti dicono di no. Basti solo pensare che quando si ha un sintomo ricollegabile all’ictus si dice “Passerà, di sicuro non è niente di che”. Errato. Sbagliato pensare che non sia niente. Se dovesse accadere qualcosa che lo annunci, si hanno 4 ore e mezza per un possibile cambiamento del corso delle cose e della propria vita. L’ictus rappresenta la terza causa di morte nella popolazione occidentale e la prima d’invalidità nel mondo: sono circa 230.000 gli italiani, 3.000 circa nelle Marche, che ogni anno ne vengono colpiti e oltre il 50% di questi rimane con problemi di disabilità grave. Quindi, occhio al fattore tempo. Abbiamo incontrato il neurologo dottor Emanuele Medici, dirigente medico primo livello nell’U.O. di Neurologia Area Vasta 2 Jesi Ospedale Carlo Urbani, dove è responsabile della Stroke Unit. Stroke è il termine inglese che si può sostituire al termine ictus. E a Jesi abbiamo la prima Stroke Unit delle Marche, accreditata dal Centro Unico Internazionale Karolinska Institutet di Svezia e nata 17 anni fa dalla lungimiranza dell’allora primario dottor Elvio Giaccaglini.

Dottor Emanuele Medici

Cos’è l’ictus?
«Il termine ictus deriva dal latino e significa “colpo”. È una malattia definita celebrovascolare acuta. Nello specifico si tratta di un colpo improvviso che può capitare in un momento qualsiasi della vita, laddove, ovviamente, vi siano le condizioni».

Quanti tipi esistono?
«Due, ischemico ed emorragico. L’ictus ischemico è il più frequente, tanto che rappresenta l’80% dei casi. È caratterizzato da un’arteria che si chiude e il sangue che quindi deve arrivare a monte di quella ostruzione viene bloccato. Al contrario, invece, nell’ictus emorragico si ha la rottura di un’arteria che determinerà dunque un’emorragia, cioè l’uscita di sangue all’interno del cervello».

Chi sono i soggetti più colpiti?
«La popolazione over 65 anni. Man mano che si va avanti con gli anni aumentano le probabilità di ictus. Ci sono circa dai 100 ai 200 casi annui ogni 100.000 persone. La percentuale incrementa con l’età che è quindi un fattore di rischio importante, soprattutto se il soggetto è iperteso, diabetico o con patologie cardiache. Se ne deduce pertanto che è meno probabile un ictus sotto i 30 anni, più probabile sopra i 75. La prevalenza di ictus nelle donne è del 45% circa, con una elevata mortalità. Le donne sono infatti geneticamente più predisposte e non solo per un fatto di maggiore longevità: ad esempio la dieta impatta su di loro 5 volte di più rispetto l’uomo, così come la gestione dell’ipertensione arteriosa».

Che conseguenze si hanno?
«Solamente un 20% – 25%, ad un anno dall’ictus, riesce a risolvere spontaneamente la malattia. La restante parte, in caso di sopravvivenza, avrà una moderata o grave disabilità permanente. Nelle Marche, nei circa 3.000 casi all’anno, solamente 400-450 riescono a guarire completamente».

Quali sono i fattori di rischio?
«Sono più o meno riconducibili a quelli dell’infarto del cuore. Il 50-55% degli ictus ischemici, i più frequenti, sono secondari ad ipertensione arteriosa, diabete, ipercolesterolemia, fumo di sigaretta. Un 20-25% circa come conseguenza di una particolare aritmia del cuore che si chiama fibrillazione atriale. Quest’ultima, che colpisce di più le donne, va sempre gestita con le dovute cautele poichè un cuore aritmico (non ritmico) favorisce lo sviluppo di trombi i quali frammentandosi embolizzano (cioè entrano nella circolazione sanguigna) con la possibilità di chiudere arterie cerebrali. Un altro fattore di rischio è rappresentato dalla contraccezione orale (specie quelli con alto contenuto di estrogeni e progesterone) anche se gli studi forniscono dati contrastanti. Una donna che fuma e usa questo tipo di contraccezione è più a rischio di sviluppare un ictus ischemico rispetto a donne che non usano anticoncezionali orali. Anche l’emicrania rappresenta un fattore di rischio per l’ictus. Ma fra tutti, il più importante è rappresentato dall’età del soggetto (maggiore è l’età e maggiore è il rischio di fare un ictus) seguito dal sesso femminile, specie per donne con età maggiore di 65 anni. Anche l’etnia incide: si è visto che la popolazione afro – americana è più predisposta in quanto maggiormente diabetica ed ipertesa. I fattori di rischio se sommati fra loro aumentano le probabilità di sviluppare un ictus».

Perché non si dà importanza ai sintomi?
«Il motivo è che la gente non sa cosa realmente sia l’ictus, non sa come riconoscerlo».

Ci sono linee guida da seguire per mantenere sotto controllo un eventuale ictus?
«Esistono cinque regole che amo ripetere durante i congressi a cui partecipo: non fumare, bere acqua e poco alcool, mantenere il peso giusto, fare regolarmente esercizio fisico e mangiare equilibrato».

Sintomi?
«Quando l’ictus viene ti toglie qualcosa. Nell’ictus il soggetto potrebbe perdere la forza da un lato del corpo con associata la famosa “bocca storta”; oppure potrebbe non riuscire a dire cosa ha in mente o cadere all’improvviso perché non ha più equilibrio con perdita della coordinazione dei movimenti. Nell’ictus emorragico potremmo avere anche nausea, vomito ed intensa cefalea».

Cosa fare in questi casi?
«Appena riconosciamo questi sintomi occorre andare subito, preferibilmente con il 118, negli ospedali di riferimento che curano l’ictus. Se non si perde tempo si può avere più possibilità di trattare l’ictus in maniera adeguata: si può così beneficiare di trattamenti, salvo eccezioni, che curano l’ictus migliorando la situazione che si potrebbe prospettare. Riconoscerlo significa agire subito, ma il paziente deve essere seguito dal personale neurologico con competenze nella gestione dell’ictus. Quindi le cose da fare sono tre: riconoscere i sintomi, conoscere le sedi che trattano la malattia e non perdere tempo».

Jesi è portabandiera della cura dell’ictus. Cosa fate?
«Il reparto di neurologia ha dal 1999 la Stroke Unit (6 posti letto), la prima nelle Marche. Ossia la semi-intensiva, all’interno del reparto di Neurologia, che si occupa di ictus dove c’è personale dedicato che è in grado di gestire il soggetto, monitorizzato da attrezzature adeguate ed avanzate, 24 ore su 24, sia in fase acuta che in fase sub-acuta. Si è visto che se un soggetto viene portato nelle Neurologie con Stroke Unit la mortalità si riduce del 4% e la disabilità del 6% – 8%».

Come lo trattate?
«Nel caso dell’ictus ischemico, se vi sono i requisiti necessari, il paziente viene curato mediante fibrinolisi endovenosa sistemica: un farmaco iniettato per via venosa che ha come scopo quello di sciogliere il trombo causa dell’ostruzione dell’arteria cerebrale implicata. Se il paziente risponde può recuperare a 3 mesi dall’esordio dei sintomi anche il 90-100% delle funzioni compromesse dall’ictus. Nella nostra esperienza di quasi 200 pazienti trattati dal 2008 ad oggi il 42% ritorna ad avere la propria autonomia senza disabllità significativa. Ovviamente il successo deriva principalmente da questa innovativa terapia e dalla riabilitazione mirata e precoce. Per l’ictus emorragico che ha un maggior rischio di mortalità almeno nei primi 30 giorni dall’esordio di sintomi, i mezzi terapeutici a disposizione sono veramente pochi: solo per le emorragie subaracnoidee spontanee conseguenza di una rottura di un’aneurisma cerebrale (3% circa di tutti gli ictus emorragici) se riconosciute tempestivamente possono beneficiare di trattamento in questo caso chirurgico e/o neuroradiologico interventistico».

Chi è stato colpito da ictus può sottoporsi a sforzi?
«Certo, contrariamente a quanto si pensi. L’importante è continuare a fare i controlli clinici specialistici e mantenere entro i limiti della normalità i fattori di rischio prima descritti».

Novità per la nostra Regione?
«Si sta costituendo nelle Marche A.L.I.CE.: Associazione per la Lotta all’Ictus Celebrale. Una Onlus presente nel mondo (di cui Valentina Vezzali ne è testimone ndr) che si occupa di fare informazione in merito. Inoltre, data l’importanza della malattia e di come impatta negativamente sulla popolazione sia in termini di disabilità che economici, si sta potenziando ed anche incrementando le Stroke Unit e reti-stroke nel territorio marchigiano per dare la possibilità di curare il paziente in modo adeguato, eliminando dunque il fattore lontananza dal luogo dove esordisce l’ictus al primo centro specializzato».