Slot machine, gratta e vinci, superenalotto, bingo, scommesse, poker, sono questi i giochi che attraggono di più. Un amore, quello per il gioco d’azzardo, che può costare molto caro e che per alcuni può trasformarsi in malattia, una dipendenza molto simile a quella della droga.
Abbiamo intervistato il dottor Rodolfo Rabboni, responsabile dell’Area Gioco Patologico del Dipartimento Dipendenze Patologiche dell’Area Vasta 2- ASUR Marche.
Con il Dott. Rabboni abbiamo cercato di delineare la situazione nella Regione Marche, per capire quali siano i soggetti più colpiti, come i Dipartimenti affrontino le problematiche legate al gioco d’azzardo e quali siano gli interventi terapeutici attuati nella presa in carico del paziente.
Dottor Rabboni, la dipendenza dal gioco d’azzardo ha avuto una grande diffusione in Italia negli ultimi anni, qual’è la situazione nella Regione Marche?
«Il numero di giocatori in cura ai Servizi della Regione nel 2015 è stato di 418 unità. Nell’area di Ancona, ex Zona Territoriale 7, sono stati 144. Tenendo conto che nel solo primo semestre del 2016 il numero è salito a 119, l’incremento locale rispetto all’anno precedente è considerevole. In Italia il numero di giocatori registrato nel 2015 è di 13.136 unità, la nostra Regione si attesta pertanto al nono posto tra quelle con più utenti. Questi dati purtroppo non ci dicono molto, dal momento che coloro che si rivolgono agli ambulatori sanitari sono solo una modesta parte della reale necessità».
Tra le persone che giornalmente contattano il Dipartimento Dipendenze Patologiche per chiedere aiuto, qual’è l’identikit del giocatore tipo?
«In genere il giocatore tipo che si è rivolto al Servizio per problemi di gioco è di sesso maschile e ha un’età di circa 45 anni. Ha una scolarità media (45%) ed è occupato in un’attività lavorativa (59%). Questo non significa dire che le donne o i giovani non siano coinvolti nella questione ma che sono più restii a chiedere aiuto. I giovani probabilmente vivono a lungo nell’illusione che l’abitudine sia sotto controllo e nascondono a se stessi la devastazione che il gioco porta nelle loro vite. Per le giocatrici valgono motivi simili a quelli che interessano le donne che abusano per esempio di alcolici, lo fanno in maniera più silente e solitaria, maggiormente colpite da vergogna sociale e pregiudizi. Per questo il nostro sforzo, oltre quello di curare chi si presenta in ambulatorio, è giungere proprio a coloro che vivono quell’esperienza, spesso drammatica, senza riuscire né a fermarla, né a rivolgersi a personale esperto. Sempre a proposito del profilo del giocatore, spesso sentiamo sostenere che siano le condizioni economiche o le difficoltà lavorative a divenire le cause fondanti della compulsione. Molti ritengono che sia l’esistenza stessa di una sala giochi o di una slot machine a rappresentare il motivo che innesta la dipendenza. Colleghi esperti accusano invece deficit di tipo neurobiologico presenti nella mente del giocatore. Pur sostenendo che tutto ciò abbia sicuramente un peso, la mia idea è diversa. Credo che il gioco d’azzardo patologico sia legato al malessere profondo della persona, di cui la persona stessa non ha consapevolezza. Anzi, il gioco aiuta proprio ad allontanare la presa di coscienza dello stato di vuoto, di angoscia o di depressione in cui si dibatte la vita dell’individuo. Il gioco dunque non è altro che l’espressione del dolore psichico e allo stesso tempo un modo per non affrontarlo ma scaricarlo direttamente con il comportamento all’esterno di sé. Anche quando non raggiunge esiti disastrosi, il cosiddetto “gioco problematico”, la sua origine e la sua funzione sono connesse ad uno stato interno che la psiche non riesce ad affrontare e, per non esserne travolta, lo agisce all’esterno».
Quali sono gli interventi terapeutici attuati dall’équipe dell’Area Gioco Patologico?
«Mi preme innanzi tutto sottolineare che l’obiettivo che ci poniamo non è semplicemente il trattamento della condotta problematica, non basta l’eliminazione del sintomo per raggiungere una soluzione. Ascoltando le storie dei giocatori ci si rende conto di trovarsi di fronte a situazioni di vita interamente danneggiate, dove l’aspetto economico è solo uno dei campi colpiti. Crisi familiare, rovina professionale, isolamento sociale, annullamento dei precedenti interessi, sono le ferite più evidenti. A volte si giunge ad attuare azioni illecite ed illegali o alla messa in atto di propositi suicidari. Per questo è necessario porsi obiettivi di cura più complessi e mirare a rendere la persona in grado di recuperare il proprio benessere, di riprendere un cammino di vita interrotto e ritornare nuovamente ad avere cura di sé. L’équipe che accoglie quotidianamente la richiesta del giocatore è costituita da personale appositamente formato quali psicologi, psicoterapeuti, medici, assistenti sociali, educatori che collaborano per gestire i vari aspetti del problema. Alla loro azione, si affianca l’offerta di una consultazione legale ed economica. Dopo la fase di accoglienza, in cui si aiuta la persona a condividere la tensione emotiva che la colpisce, alcuni parlano di “incubo”, altri di “buco nero”, l’intervento terapeutico inizia con la fase di valutazione. Qui, oltre a mettere in luce i vari aspetti della questione, si fornisce una visione nuova e diversa della condotta compulsiva, non più immaginata legata al vizio, al caso o ad altre cause estranee al sé. Se necessario, si procede con la somministrazione di opportuna terapia farmacologica per stemperare gli aspetti caratteriali meno gestibili da parte del paziente. Si procede poi con l’individuazione del programma psicoterapeutico, vero cuore della cura, di tipo individuale, di coppia o familiare. Ad Ancona da anni abbiamo avviato anche un intervento terapeutico di gruppo per soli giocatori. Quando le condizioni lo richiedono, possono essere infine attivati programmi comunitari in strutture esistenti in Regione. Altra specificità del nostro Dipartimento è che all’occorrenza l’utente può fare affidamento anche su un periodo di degenza ospedaliera presso il nostro reparto di Torrette. Un iter ben nutrito, di cui le ho presentato gli aspetti salienti. In ultimo, vorrei aggiungere che l’intervento proposto dall’Area Gioco Patologico non concerne solo all’azzardo ma tutte le condotte che hanno a che vedere con il gioco patologico, parliamo cioè di dipendenze tecnologiche quali videogiochi, pc, internet e di quelle abitudini che hanno perso il senso del piacere e del benessere del divertimento come videopornografia, dipendenza dagli acquisti, e altro. Anche per questo tipo di problemi sono attivi percorsi terapeutici dedicati.»
Quali sono le difficoltà che incontrano maggiormente gli operatori nello svolgimento del loro lavoro?
«Una delle prime difficoltà è nella richiesta “senza domanda”, sembra paradossale ma è la contraddizione in cui vive il giocatore che spesso arriva in ambulatorio senza la giusta consapevolezza del problema, scambiato per una questione di danno economico, o addirittura con l’idea di riuscire da solo a trovare una soluzione. In molti casi, non è nemmeno lui a chiamare ed ad essere allarmato, ma un familiare. Il nostro impegno e la nostra sfida è allora tentare comunque una collaborazione là dove emergono condizioni clinicamente non vantaggiose quali una scarsa motivazione, un’alleanza di lavoro appena accennata, una visione critica offuscata. Con un lavoro delicatissimo, che rischia di interrompersi da un momento all’altro, senza mettere in crisi le difese del giocatore, che sarebbe violentemente costretto a specchiarsi in vissuti depressivi e di angoscia, occorre aiutarlo in un cammino di conoscenza di sé, dei suoi bisogni e dei suoi disagi. Altro problema da gestire è quello delle relazioni in famiglia, spesso altamente deteriorate. In molti casi il problema del gioco e dei debiti non fa altro che peggiorare dinamiche già in origine conflittuali. Liti, rivendicazioni, fughe divengono quotidiane. Per questo occorre sostenere l’intero nucleo familiare perché affrontare la questione solo dalla parte del giocatore significa omettere di trattare una quota della sofferenza generale. Potrebbe addirittura accadere che quanto costruito con il paziente venga vanificato una volta reintrodotto nel sistema delle relazioni. Al contrario, estendere ad altri l’aiuto terapeutico significa accogliere anche la rabbia del familiare e la sua incomprensione verso una patologia giudicata irrazionale. A volte, lasciato solo, il genitore o il coniuge non sa come agire adeguatamente o addirittura teme che se il giocatore migliora la sua situazione lo abbandoni».
Per informazioni:
Dipartimento Dipendenze Patologiche Area Vasta 2 – Asur Marche – AREA GIOCO PATOLOGICO
Ambulatorio di Ancona Corso Stamira, 40 – tel. 071 8705981/ 5973- aperto tutti i giorni
Sportello Games Over ad Ancona c/o locali II Circoscrizione 29
via Scrima, 29 – tel. 327.6191193 – aperto mercoledì mattina e giovedì pomeriggio
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