Benessere

Libere di dover essere belle

La pressione sociale a conformarci a un modello di corpo ideale che viene riproposto ossessivamente è molto potente. Compatiamo le donne di altre culture perchè non libere di mostrare il proprio corpo e non ci accorgiamo di essere costrette, per altri versi, a mostrarne, noi, uno perfetto

«Apritemi il collegamento! Ciao Sara! Ecco, amici» – la conduttrice si rivolge eccitata agli ascoltatori – «oggi vedremo Sara, vent’anni, raggiungere finalmente la felicità! Assisteremo in diretta all’intervento con cui questa ragazza – che, poverina, ha solo una seconda taglia – potrà finalmente avere un bel seno! Ci vediamo dopo la pubblicità!». Inquadratura su Sara e il chirurgo che fanno “ciao” dalla sala operatoria. Applausi, incitazioni dal pubblico in studio. Pubblicità.

Le parole esatte non le ricordo più, qualcuna poteva essere un po’ diversa, ma il senso generale me lo ricordo benissimo. Durante un annoiato zapping pomeridiano, mi sono imbattuta per caso su questo spaccato di un programma televisivo e sono rimasta basita: ottantasette opinionisti in studio avvezzi a scannarsi su qualunque facezia, e nessuno dice niente su questa cosa? Senza che nessuno batta ciglio, tra un’intervista alla soubrette di turno e il consueto spot pubblicitario, passa il messaggio che: è normale, scontato, ovvio, che a vent’anni una ragazza si faccia aprire da un bisturi per rimediare a un seno, ahimè  – sguardo di compatimento della conduttrice – “troppo piccolo”: un seno piccolo è fuor di dubbio una disgrazia; sistemata la taglia del seno, la felicità sarà a portata di mano.

Nulla da obiettare, e se mai qualcuno obiettasse, immagino la risposta che abitualmente mette fine alle discussioni su questo argomento: “Ma se la ragazza lo fa per stare meglio con sé stessa, che male c’è?”.

Altro canale, altro programma, stavolta in più puntate. Ogni volta, la storia di una donna che si sottopone a vari interventi, chirurgici o cosmetici, per essere, o tornare, finalmente “bella”. La particolarità del programma è che le protagoniste sono scelte tra donne che hanno avuto una storia dolorosa, esperienze difficili, sofferenze di vario tipo. Il senso è che ora, dopo tanto patire, meritano di avere una nuova bellezza. Il paradosso che mi lascia perplessa è che la crescita interiore, la maturità, la sicurezza in sé che queste donne affermano con forza e ripetutamente di aver conquistato grazie alla propria storia precedente, si traducano nel farsi felicemente tagliare e ricucire, sopportando altro dolore fisico, per sentirsi, ma soprattutto per essere riconosciute dagli altri, esteticamente belle.

E infatti la trasformazione è sempre, sistematicamente suggellata sul finale dall’esposizione del risultato a familiari e amici che attendono trepidanti.

Questi sono due esempi, ma ogni giorno siamo esposti a questo genere di messaggi che assorbiamo acriticamente. Se gli adulti sono generalmente incapaci di vederne la pericolosa portata, immagino cosa possa accadere nella mente degli adolescenti, e soprattutto delle adolescenti femmine.

Ci indigniamo per la privazione di libertà a cui sono sottoposte donne di altri Paesi e di altre culture, ci fa orrore l’idea che altre donne non possano scegliere come vestirsi, che siano costrette a coprirsi i capelli o il viso. Ed è giusto indignarsi. Ma non percepiamo la schiavitù più sottile a cui siamo indotte noi, che ci porta a non vedere nulla di strano nel lasciarsi tagliare, riempire, svuotare, siringare, spianare, cucire, per aderire a un’ immagine del corpo che, di volta in volta, viene proposta e imposta come quella giusta. «Ma io lo faccio per stare bene con me stessa!», ci raccontiamo.

È un’illusione, perché siamo costantemente, inevitabilmente influenzati dal contesto in cui viviamo, ne assorbiamo i modelli di comportamento, respiriamo i valori della cultura a cui apparteniamo e vi aderiamo inconsapevolmente. E sono convinta che nessuna donna mai, se vivesse su un’isola deserta con scimmie e caimani senza altri esseri umani, sentirebbe il bisogno di rifarsi il seno o tirarsi la palpebra o rimpolpare le labbra, per “stare meglio con se stessa”.

La pressione a conformarsi a un modello di corpo ideale che viene riproposto ossessivamente è estremamente potente: per opporvisi occorrono un’autostima e una sicurezza interiore che, soprattutto nelle ragazze adolescenti, sono ancora in costruzione. Se nessuno le aiuta a vedere in quali meccanismi siamo coinvolti, non hanno scelta.

Oltre a preoccuparci di avere un corpo bello, cerchiamo anche di mantenere una mente lucida e sveglia, di essere consapevoli di quanto la nostra sensazione di inadeguatezza sia frutto di canoni che noi stessi arbitrariamente creiamo, di quanto la soluzione chirurgica, oltre che una opportunità del progresso medico, possa essere però una moderna forma di schiavitù indotta culturalmente. La consapevolezza permette almeno di scegliere responsabilmente, piuttosto che conformarsi in modo cieco e acritico.

Dott.ssa Lucia Montesi
Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Tel. 339.5428950