Pensare che c’è tempo per farlo, dilungarsi in inutili preamboli, temporeggiare mettendosi a fare qualcos’altro. “Lo farò domani”, pensiamo, ma malgrado tutti i buoni propositi appena svegli, ogni giorno si conclude senza aver fatto quel che dovevamo fare. “Mi riposo un attimo prima di mettermi al lavoro”, e l’attimo diventa un’ora, due, mezza giornata. Procrastinare significa ritardare volontariamente un’azione sostituendola con altre meno rilevanti, meno urgenti o meno sgradevoli, nonostante la consapevolezza delle possibili conseguenze negative. Si tratta quindi di una forma di evitamento che temporaneamente solleva dallo stress e dalla preoccupazione di un’incombenza. A tutti succede a volte di procrastinare e il comportamento in sé non è sbagliato, può anzi a volte essere saggio, come quando rimandiamo qualcosa che al momento va al di là delle nostre forze, oppure non è fattibile al momento, o richiede un maggior tempo di riflessione. Quando la procrastinazione è abituale e pervasiva può però comportare conseguenze negative potenzialmente in tutti gli ambiti di vita, dal lavoro alla vita privata e sociale, interferendo con il raggiungimento dei propri obiettivi. Il blocco può riguardare l’inizio di un’attività, il suo mantenimento o la sua conclusione.
I motivi alla base della tendenza a rimandare azioni, impegni e decisioni possono essere molteplici e molto differenti tra loro. Vediamo i principali:
– La procrastinazione può essere sintomo di un disturbo psicologico più ampio. Può presentarsi nella depressione (per la scarsa energia e per il pessimismo), nei disturbi d’ansia (per la paura o il panico che la situazione suscita), nel disturbo ossessivo-compulsivo (per il continuo rimuginare o perché ci si perde nei dettagli), nei disturbi di personalità borderline e antisociale e nell’abuso di sostanze (per l’impulsività predominante sulla capacità di pianificazione). Anche quando non raggiungono l’intensità di disturbo, condizioni di umore depresso, ansia, impulsività, ossessività possono comunque comportare tendenza a procrastinare.
– Paura di affrontare una situazione sgradevole, emozioni spiacevoli, potenziali conflitti con altri.
– Paura di decidere e di scegliere. Nel timore di fare la scelta sbagliata o di non fare la scelta migliore e di pentircene, rimandiamo aspettando che accada qualcosa per cui la scelta avvenga da sé, deresponsabilizzandoci, ma senza renderci conto che anche il rimandare è una scelta che produce un suo effetto di cui diventiamo responsabili.
– Perfezionismo. La persona perfezionista si sente in grado di affrontare un compito solo se riesce a farlo in maniera perfetta, rimanda quindi il momento a quando le condizioni esterne e interne saranno ideali, ma il momento non arriva mai sia perché generalmente qualche elemento della realtà esterna non consente la condizione ideale, sia perché la persona non si sente mai abbastanza pronta e sicura di sé, nella convinzione che anche il suo stato interiore debba essere ottimale. Il compito viene rimandato perché temuto e vissuto come rivelatore delle proprie imperfezioni.
– Paura dell’insuccesso. La convinzione di andare incontro a un fallimento può essere così forte da non tentare nemmeno, oppure la paura di fallire fa rimandare il momento in cui avremo un riscontro reale: finchè non iniziamo, possiamo coltivare all’infinito la speranza di un potenziale successo.
– Paura del successo. Può sembrare strano, ma anche la buona riuscita di qualcosa può spaventare e indurre a rimandare. Possiamo perciò autosabotarci, perché ad esempio pensiamo di non meritare quel successo e ci sentiamo in colpa, oppure temiamo che dopo quel successo gli altri cominceranno ad avere aspettative troppo elevate nei nostri confronti e ci sentiremo pressati a mantenere standard elevati.
– Paura della responsabilità. Possiamo rimandare una decisione o un’azione perché comportano un’assunzione di responsabilità e un impegno per cui non ci sentiamo pronti o che ci spaventano.
– Ribellione e rabbia, aggressività passiva. Rimandare può essere una forma di opposizione ad aspettative e pressioni di altri, un modo indiretto per dimostrare qualcosa, per rifiutare una richiesta senza esprimerlo esplicitamente.
– Obiettivi poco realistici e fuori dalla propria portata.
– Tendenza a rendere meglio “all’ultimo minuto”. Alcune persone hanno bisogno di sentire l’adrenalina di una scadenza vicina e del rischio di non fare in tempo, di sentirsi insomma sotto pressione, per attivare tutte le proprie energie e compiere con successo il compito.
– Difficoltà ad avere una visione realistica del tempo a disposizione, a stabilire priorità tra più impegni.
– Impulsività: la difficoltà a privarsi di un piacere momentaneo, a ritardare una gratificazione immediata in favore di un beneficio a lungo termine.
– Mancanza di interesse e motivazione, scarsa tolleranza alla noia. Le attività non vengono iniziate perché non sufficientemente attraenti, o non vengono mantenute perché dopo l’entusiasmo iniziale l’interesse cala.
– Carico eccessivo di lavoro e incombenze, stanchezza fisica, mancanza di energie fisiche.
Come smettere di procrastinare?
– Innanzitutto, occorre capire le motivazioni alla base che possono essere estremamente diverse da una persona all’altra, richiedendo una soluzione diversa.
– Nel caso di procrastinazione che impatta in modo significativo o che fa parte di un disturbo psicologico, ricorrere a un aiuto specialistico. La psicoterapia aiuta a modificare i pensieri disfunzionali (ad esempio “Per iniziare devo essere dell’umore giusto”, “O lo faccio per bene o non vale la pena farlo”) che inducono a rimandare, a esplorare e modificare le paure e i pensieri negativi su di sé, a organizzare meglio il tempo, ad esprimere in modo più assertivo le proprie necessità.
– Evitare di incolparsi per la tendenza a rimandare, cadendo in una spirale di senso di colpa e inadeguatezza che alimenta ulteriormente l’impulso a procrastinare e la sfiducia nel poter cambiare.
– Avviare in ogni modo l’azione, anche in minima parte, anche se per pochissimo tempo, anche con scarsa motivazione e in condizioni emotive non ottimali. Ne ricaviamo un rinforzo positivo che ci motiva e incoraggia ad andare avanti, ad attivarci di nuovo. Solo le azioni pratiche possono alimentare autostima, fiducia in sé e senso di sicurezza, e non viceversa. Al contrario, rimandare fa sentire sempre meno capaci di farlo e porta a rimandare ancora di più.
– Accettare di essere imperfetti, di poter fallire, di provare emozioni sgradevoli; accettare di fare quel che possiamo, con ciò che abbiamo a disposizione ora.
– Evitare il multitasking e concentrarci su un’attività alla volta.
– Suddividere il lavoro in microattività più abbordabili e procedere per piccoli passi.
Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Consulenza, sostegno e psicoterapia online tramite videochiamata
Studi a Piane di Camerata Picena (AN) e
Montecosaro Scalo (MC)
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