Benessere

Lutto prenatale, un dolore poco riconosciuto

La perdita di un figlio durante la gravidanza o subito dopo la nascita è un evento critico per la coppia. Mancano però il giusto riconoscimento e supporto dal contesto sociale

Lo scorso 15 ottobre si è celebrata nel mondo la giornata del lutto prenatale e perinatale, un tema che è stato a lungo trascurato e sottovalutato e a cui finalmente si comincia a dare la giusta attenzione.

Il lutto prenatale e perinatale, esperienza che riguarda una coppia su sei, è la perdita di un figlio desiderato durante la gravidanza, il parto o subito dopo la nascita. Si tratta di un evento che colpisce profondamente la coppia e può provocare un’intensa sofferenza, spesso non riconosciuta e non adeguatamente sostenuta dal contesto sociale.

Per alcuni aspetti, questo tipo di lutto è sovrapponibile agli altri lutti e presenta le tipiche fasi che caratterizzano ogni perdita. Si ha quindi una prima fase di shock, incredulità, negazione dell’accaduto, a cui seguono la realizzazione e la presa di coscienza, con sentimenti di ansia, rabbia, ingiustizia e colpa. Si attraversa poi una fase di disperazione, di mancanza e struggimento per il bimbo perduto, per arrivare infine, dopo un tempo piuttosto lungo, all’accettazione della perdita e alla capacità di riprendere la vita, i progetti, tra cui anche un nuovo desiderio di un altro figlio. Ogni coppia ha bisogno di un proprio tempo per attraversare questo percorso, ma in genere sono necessari almeno 1-2 anni per tornare alla serenità.

Questo tipo di lutto ha però delle caratteristiche peculiari che lo rendono più faticoso e complesso  e che aumentano il rischio che si trasformi in un lutto patologico, sfociando in disturbi depressivi o nel disturbo da stress post-traumatico. È un evento innaturale, che sovverte le aspettative; spesso non c’è una spiegazione chiara e univoca della morte del piccolo, alimentando i sensi di colpa dei genitori; spesso manca un corpicino su cui poter piangere; non ci sono abbastanza ricordi condivisi. Il lutto consiste nel creare un legame interno con la persona che abbiamo perduto, che si costruisce sui ricordi di quella persona e della relazione che avevamo con lei. Questo è molto più difficile nel lutto prenatale, perché mancano i ricordi. Mancano anche dei rituali collettivi a causa dello scarso riconoscimento sociale: non c’è uno spazio in cui condividere con gli altri il cordoglio.

Esiste il diffuso pregiudizio che la sofferenza sia proporzionale all’età del piccolo: contenuta e facilmente superabile all’inizio della gravidanza, per poi diventare sempre più grave con il progredire della gravidanza, fino ad essere immaginata tragica al momento del parto o nei giorni successivi. In realtà il dolore della perdita non dipende dall’epoca gestazionale, ma dal legame di attaccamento, dall’investimento affettivo sul figlio, che può instaurarsi immediatamente già alla notizia della gravidanza, o addirittura prima, già quando il piccolo è intensamente desiderato. Perciò perdere il proprio bambino nelle prime settimane può avere un impatto drammatico così come perderlo in gravidanza avanzata.

Chi subisce questo tipo di perdita si confronta con intensi vissuti di colpa e vergogna, si sente responsabile di non aver saputo proteggere la piccola vita. Può provare una forte rabbia («Perché è accaduto proprio a noi che lo desideravamo tanto?») e sentimenti di invidia per chi ha figli, può evitare le situazioni in cui ci sono bambini piccoli o donne in gravidanza. Questi sentimenti sono vissuti come indegni e mostruosi, mentre sono normali e devono essere compresi dagli altri. La perdita interrompe bruscamente il progetto genitoriale e frattura l’identità stessa. Nella coppia possono nascere contrasti per il diverso modo di vivere il lutto e i diversi meccanismi di difesa utilizzati per affrontarlo.

Se il dolore delle mamme viene più facilmente riconosciuto e accolto, quello dei papà è quasi sempre sottovalutato, se non completamente ignorato. Da parte loro, i padri spesso tengono dentro di sé la sofferenza e non la manifestano per non gravare ulteriormente sulle loro compagne e per dedicarsi al loro sostegno.

Purtroppo è raro che una coppia che vive questo tipo di lutto incontri un adeguato supporto da chi sta intorno. Operatori sanitari, familiari, amici e conoscenti tendono quasi sempre a minimizzare, spingono a negare il lutto, a darsi da fare per riprovare, mentre c’è bisogno, per superare un lutto, di attraversare i sentimenti dolorosi e di poter piangere per la mancanza di quel bambino, che non potrà mai essere sostituito da nessun altro. Il modo in cui avviene la comunicazione della morte del bambino è cruciale, viene ricordato per sempre nella mente dei genitori, in ogni singola parola, e può aggiungere trauma a trauma: più minimizza la portata della perdita e più insinua elementi di colpevolizzazione dei genitori, più risulta traumatico.

«Dovete riprovarci subito», «Sei giovane, puoi averne altri», «Meglio ora che più avanti», «Bisogna lasciar fare alla natura», «Ma tanto avete già un altro figlio», fino a «Battete il ferro finchè è caldo»: sono le frasi tipiche che questi genitori si sentono dire e che non portano nessun conforto, anzi, acuiscono la solitudine. Chi vive questa esperienza, ha invece bisogno di essere ascoltato e compreso senza giudizi, e che le sue emozioni siano validate e contenute. Un orecchio attento che ascolti con empatia e partecipazione la storia di quella gravidanza unica e irripetibile aiuta molto più di certe frasi di circostanza.

 

Dott.ssa Lucia Montesi
Psicologa Psicoterapeuta

Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
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