Rossella mi chiama per fissare un appuntamento per un sostegno psicologico, perché sente che non ce la fa più. Da quando è nata la sua seconda bambina, pochi mesi fa, ha cominciato ad avere attacchi di panico. Lei, che era abituata ad avere tutto sotto controllo e ad essere sempre efficiente, mamma amorevole col primogenito di otto anni, ottima padrona di casa con gli amici, scrupolosa professionista con un incarico prestigioso in una piccola azienda, ora si sente travolta dalla situazione, incapace, nervosa, a volte anche aggressiva con i figli.
Vorrebbe essere aiutata ma sarebbe un’ulteriore conferma della sua incapacità, perciò prova caparbiamente a tornare ai livelli di prestazione precedenti, avvitandosi in una spirale di aspettative, ansia, tentativi infruttuosi, demoralizzazione, da cui non riesce più a uscire.
L’attuale condizione di lockdown dovuta al virus Covid-19 ha ulteriormente acuito il suo vissuto di inadeguatezza: trovarsi a dover accudire a tempo pieno anche il figlio maggiore e affiancarlo nella didattica a distanza, è stata l’ennesima richiesta da cui si è sentita travolgere, precipitando in un’angosciante sensazione di impotenza ed esaurimento delle energie.
Molte mamme vivono un malessere simile a quello di Rossella. In questo particolare periodo il disagio è ulteriormente enfatizzato dalle richieste determinate dalla nuova e imprevista situazione di vita, ma in realtà, anche prima di questo drammatico cambiamento sociale, gran parte del mio lavoro si svolgeva con donne in difficoltà nel gestire il proprio ruolo di madri. Soprattutto, donne in difficoltà nel trovare un equilibrio tra le diverse dimensioni della propria esistenza, senza lasciarsi fagocitare dall’ansia per il benessere dei figli e dai sensi di colpa.
La preoccupazione per la felicità dei figli e, soprattutto, la convinzione di dover essere sempre presenti per sostenerli, aiutarli, spianare loro la strada, evitargli lo scontro con difficoltà e fallimenti, proteggerli più possibile dalla sofferenza e dalla frustrazione, portano a uno sbilanciamento delle energie di queste mamme, tutte convogliate in direzione dei figli.
Nella cultura attuale, grande enfasi viene posta sui diritti dei bambini e sui loro bisogni. Se questo è giusto e sano da un lato, dall’altro produce due conseguenze meno sane: un carico ancora maggiore di aspettative sul ruolo del genitore, che deve saper essere caloroso, supportivo, empatico, a fronte di sempre meno energie a disposizione; un fraintendimento che porta a credere di dover tutelare tanto i figli, da evitare di imporre loro qualsivoglia limite.
Un concetto del sé genitoriale molto rigido e perfezionista, che induce a pretendere molto da sé stesse come mamme e a sentirsi sempre mancanti, in difetto, in ritardo, in colpa, può essere accentuato dal modello culturale, ma è soprattutto frutto della propria storia personale, dei valori assorbiti dalla propria famiglia attraverso l’educazione, dello schema mentale di madre e padre che ci si costruisce nel rapporto con ciascuno dei propri genitori e osservando la relazione tra loro.
Il modo in cui si è madri ha molto a che fare con il modo della propria madre, sia quando si scelga, più o meno consapevolmente, di riproporlo, sia quando lo si rigetti per adottarne uno completamente opposto.
Se fino a un certo punto queste mamme reggono e si barcamenano tra le esigenze di tutti, arriva il momento in cui il fragile equilibrio si rompe e compare qualche sintomo. Nel caso di Rossella, è stato l’arrivo della seconda bambina a chiedere un nuovo assetto a cui lei tenta di opporsi, finendo per sviluppare attacchi di panico. Vorrebbe mantenere il funzionamento precedente e replicare il rapporto molto intenso costruito col primo figlio, continuare ad essere sempre una mamma presente, attenta a ogni esigenza e anzi in grado di anticiparla, ma non ne ha più le forze. Ed è un bene che sia costretta a fermarsi, perché potrà imparare una modalità più flessibile, più sana per lei ma anche per i figli, liberati da una presenza a volte soffocante.
E dove sono i padri, in tutto questo? Queste mamme in crisi mi raccontano a volte di mariti e compagni poco attenti, superficiali, resistenti ad essere coinvolti nella gestione familiare e nell’accudimento dei figli, malgrado i loro richiami a una maggiore presenza. Altre volte, mi descrivono padri affettuosi, capaci e calmi, e dicono «Il problema solo sono io, a lui non posso recriminare niente».
In ogni caso, una caratteristica comune a molte di queste mamme è una difficoltà a mollare la presa sui figli, a lasciare che siano anche altri e non solo loro ad occuparsene, fidandosi. Può succedere che anche quando i padri vorrebbero essere più presenti, siano loro stesse a fare resistenza a lasciargli spazio con i figli, spesso inconsapevolmente. Possono faticare a retrocedere, perché sentono di togliere qualcosa di prezioso ai figli, o perché significherebbe essere meno importanti, meno indispensabili, o rinunciare in parte a ciò che dà senso alla loro vita.
Un’altra difficoltà di queste mamme è accettare di poter causare ai figli una quota di frustrazione, decidendo di distogliere da loro una parte delle energie per dedicarle a sé stesse o alla coppia, e soprattutto a spazi di recupero in cui potersi ricaricare.
Cosa può aiutarle a vivere il ruolo di mamma con meno pressione?
- Intanto, accettare la realtà che non si può tenere tutto sotto controllo, permettersi di non essere efficienti, di sbagliare, di chiedere aiuto. I figli non hanno bisogno di un genitore perfetto: se il genitore non sbaglia mai, il figlio non ha un modello che gli mostri come vivere l’errore e affrontarlo, anzi, si sente sbagliato e in colpa e perennemente inadeguato di fronte alla perfezione del genitore.
- Richiamare i padri a svolgere la loro parte e lasciargli lo spazio per farlo, con beneficio per sé, essendo sollevate da una parte del carico, e con beneficio dei figli che vivono maggiormente il rapporto col padre.
- Pensare che anche se i figli protestano di fronte a una frustrazione, questo non significa perdere il loro amore; la loro rabbia non deve far temere di rovinare il legame, è anzi una manifestazione normale e sana, da contenere con una posizione ferma, calma e sicura.
- Pensare che distogliere una parte delle energie dai figli per dedicarle alla coppia è un investimento anche per il benessere dei figli stessi, sia perché può tradursi in un clima familiare più piacevole e sereno, sia perché propone ai figli un modello di relazione di coppia sano in cui si continua a prendersi cura l’uno dell’altro.
- Comprendere che riservare uno spazio alle esigenze personali, a passioni e interessi, o anche solo prendersi un tempo vuoto da impegni verso altri, ha tre preziosi effetti: permette di recuperare e tornare presenti con più energie; rassicura i figli che la madre ha anche altro, oltre a loro, e li rende liberi di distaccarsene e fare la propria vita; offre ai figli un buon modello di persona che sa essere disponibile per gli altri, ma sa anche prendersi cura di sé.
Dott.ssa Lucia Montesi
Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
tel 339.5428950
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