“Perché ascolti quella roba deprimente? Vuoi proprio farti ancora più male!”, commenta chi ci sta vicino, eppure lo facciamo istintivamente: quando ci sentiamo tristi o soffriamo per qualcosa, andiamo ad ascoltare proprio quelle canzoni tristi, malinconiche, che ci fanno immergere ancora di più in quello stato d’animo negativo. Sembrerebbe più logico cercare di risollevare l’umore ascoltando musica allegra e spensierata, ma accade esattamente il contrario, perché una delle funzioni della musica è proprio quella catartica, ovvero di sfogo e liberazione dalle emozioni sgradevoli.
La musica è presente in qualsiasi cultura umana e sembra avere un potere universale. Le persone ascoltano musica con diversi scopi: poter ampliare la conoscenza di ciò che accade ad altri o in altre parti del mondo, attraverso le storie raccontate nei testi o la descrizione di luoghi lontani; esprimere sé stesse, la propria personalità, i propri interessi e gusti attraverso la predilezione per un genere musicale o per certe specifiche canzoni; creare una connessione con gli altri (chiunque abbia partecipato a un concerto del proprio idolo sa quale intenso clima di condivisione si instauri con gli altri, anche se sconosciuti); regolare le emozioni e soprattutto gestire il malumore; evadere dalla realtà. La musica è uno strumento così ricco di potenzialità da essere usato a scopo terapeutico nei contesti più variegati, attraverso la musicoterapia.
La musicoterapia è appunto l’uso della musica e degli elementi musicali (suoni, ritmo, melodia, armonia) da parte di un professionista musicoterapeuta qualificato, attraverso interventi individuali o di gruppo, per favorire la comunicazione, la relazione, l’apprendimento, la motricità, l’espressione di sé.
Anche al di fuori del contesto strutturato della musicoterapia, è comunque esperienza quotidiana di tutti noi quanto la musica possa essere benefica, soprattutto per il nostro stato emotivo. La musica è considerata un veicolo privilegiato per esprimere emozioni, la sua essenza sarebbe proprio quella di trasmettere emozioni. Di più, è considerata essa stessa una forma dinamica di emozione. È difficile trovare qualcuno che dica di non trovare gradevole la musica. Ma perché ci piace tanto ascoltarla?
Si pensa che la musica abbia la stessa capacità di influenzare i sistemi neurochimici del piacere e della ricompensa e favorisca la produzione di dopamina, al pari di altri stimoli come il cibo, il sesso e le droghe. Questo effetto è mediato da gusto personale, interesse e risonanza emotiva della musica ascoltata. Si è osservato che quando ascoltiamo un brano musicale che ci piace particolarmente, una di quelle canzoni che ci fanno “venire i brividi”, in corrispondenza di quei passaggi della canzone che ci emozionano di più si verifica un aumento di flusso sanguigno nelle aree cerebrali deputate alla ricompensa e al rinforzo, per cui proviamo un senso di piacere. Qualcosa di simile accade anche quando pregustiamo la canzone o siamo in attesa che arrivi quel passaggio che tanto ci piace, anche se in questo caso le aree cerebrali coinvolte sono diverse.
Si ipotizza che l’ascolto della musica rilasci oppioidi endogeni nel cervello, tanto che chi ascolta musica dopo un intervento chirurgico ha un minor bisogno di narcotico per il dolore post operatorio. Una musica rilassante (con tempo lento, toni bassi, assenza di testo) riduce lo stress e l’ansia sia nelle persone sane che in chi è in attesa di intervento chirurgico o ha patologie coronariche. Una musica non troppo veloce, che si attesti sui 60-70 battiti al minuto, produce un effetto tranquillizzante. Se è troppo lenta diventa deprimente (un esempio sono le lentissime marce funebri), mentre sopra gli 80 battiti ha un effetto attivante che aumenta frequenza cardiaca e respiratoria e la pressione sanguigna. Possiamo avere preferenze diverse per un genere musicale o l’altro in base al nostro personale bisogno di tranquillità o di attivazione, inoltre concorrono altre variabili legate alla nostra personalità, alla nostra storia, a eventi emotivamente positivi o negativi associati a certe canzoni.
Come si spiega l’effetto benefico che la musica triste ci procura nei momenti dolorosi? L’effetto positivo dell’ascoltare musica triste nei momenti tristi non è solo un’impressione ma è stato confermato da ricerche scientifiche, che hanno rilevato una correlazione tra ascolto di musica triste e aumento del tono dell’umore. Quando viviamo esperienze negative, tendiamo a ricercare una musica triste. La risonanza con l’emozione triste che viviamo può essere determinata dal tipo di melodia o dal testo, in cui possiamo identificarci, per la storia che racconta o per il messaggio che vuole trasmettere.
Una musica triste permette di incanalare le emozioni, ripropone l’esperienza emotiva che stiamo vivendo permettendoci di rimanere in contatto con essa, di farla defluire e infine risolverla. La musica triste effettivamente aumenta, com’è prevedibile, le sensazioni di tristezza, ma questo effetto è intenzionalmente ricercato dalle persone per sentirsi in contatto con le proprie emozioni. Vivere le emozioni negative ancora più profondamente permette di sentirsene infine sollevati. Del resto, sappiamo che il dolore e le emozioni sgradevoli fanno parte del nostro equilibrio psichico e ogni tentativo di scacciarle e metterle a tacere è controproducente, mentre dare loro uno spazio adeguato è il modo più efficace perché perdano intensità.
La musica triste favorisce l’introspezione e la conoscenza di sé. Rievoca ricordi del passato, suscita una nostalgia definita “agrodolce”, un mix di sensazioni negative e positive che fa sentire meglio. Rappresenta anche un amico simbolico che ci è vicino e ci dà supporto e conforto, indicandoci a volte anche come affrontare ciò che ci fa stare male. Ci sentiamo compresi e meno soli, sappiamo che qualcun altro ha vissuto la stessa sofferenza e questa condivisione, seppure simbolica, ci fa già sentire meglio.
Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
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