Benessere

Non riuscire a piangere, perché accade?

Il pianto è un prezioso strumento per ristabilire il benessere emotivo, ma alcune persone non riescono a piangere pur desiderandolo. Vediamo i motivi dietro questa difficoltà

Per molte persone piangere è un modo per sfogare le proprie emozioni e sentirsi meglio. In effetti, ciò che accade nel nostro corpo mentre piangiamo conferma questa percezione benefica del pianto: le lacrime liberano sostanze come gli ormoni adrenocorticotropi associati allo stress, il lisozima con potere antibatterico e l’encefalina con effetto anestetico. Queste sostanze chimiche sono peraltro presenti solo nelle lacrime associate a emozioni autentiche e non nelle lacrime che versiamo quando, ad esempio, sbucciamo una cipolla. L’ipotesi è che il pianto in una situazione emotiva sia un prezioso strumento naturale con cui l’organismo tenta di ristabilire l’equilibrio e il benessere che erano stati persi a causa di una situazione stressante, eliminando i prodotti chimici responsabili dello stress. Piangere può cambiare il mondo interiore liberando la tensione e il dolore, ma può incidere anche sul mondo esterno perché è una visibile richiesta di aiuto che induce gli altri a dare supporto, è un segnale di abbassamento delle difese che serve a inibire l’aggressività altrui e suscitare compassione.  Ci sono tuttavia persone che non riescono a piangere, pur desiderandolo. Vorrebbero poter utilizzare questo strumento per liberarsi dal dolore quando stanno male, ma non riescono a versare lacrime. Questa difficoltà a piangere può presentarsi solo in certi periodi della vita oppure accompagnare tutta l’esistenza. In questo articolo approfondiremo le possibili cause per cui per una persona può essere difficile lasciarsi andare al pianto.

I motivi che rendono difficile piangere possono essere intrapsichici, ambientali e culturali. Vediamo i principali:

Depressione. Il disturbo depressivo può presentarsi con un senso di vuoto, di incapacità di provare emozioni, di appiattimento affettivo. Non riuscire a piangere può a volte essere il segnale di una depressione latente di cui la persona stessa non è consapevole. Non sempre infatti la depressione si manifesta con una profonda tristezza, come comunemente ci si aspetterebbe, ma piuttosto può presentarsi come una mancanza di emozioni, un intorpidimento emotivo, un senso di aridità. Anche l’apatia che caratterizza la depressione può comportare un blocco del pianto, in quanto tutto ciò che prima interessava diventa indifferente, perde di senso e non è più in grado di suscitare gioia, ma nemmeno sofferenza.

Ansia. Uno stato costante di stress e di ansia può far sentire la persona continuamente sotto pressione e in allarme e rendere difficile connettersi con alcune emozioni e soprattutto abbandonarsi al pianto.

Traumi ed eventi molto stressanti. Eventi di portata traumatica, ovvero quelli che superano la capacità di elaborazione dell’individuo, possono comportare come meccanismo di difesa una dissociazione da vissuti molto dolorosi che pertanto non possono trovare sfogo ed espressione nel pianto. Anche qualora non sia presente un trauma, quando la persona sente che la sofferenza è troppo intensa il pianto può essere inibito perché percepito come pericoloso, come troppo doloroso. Si tratta quindi di una protezione psicologica che permette di non affrontare emozioni negative avvertite come intollerabili.

Negazione. Nelle fasi iniziali che seguono un evento grave e stressante, come ad esempio una diagnosi di malattia grave o un lutto, può essere normale non riuscire a piangere perché ancora la mente non ha preso piena consapevolezza della realtà. C’è una fase di shock, di incredulità e di negazione della realtà che ha una funzione difensiva, per evitare di essere sopraffatti all’improvviso dall’angoscia e avere il tempo di adattarsi gradualmente.  Poi generalmente subentra una fase di rabbia, e solo successivamente compaiono le lacrime.

Altri modi per esprimere il dolore e le emozioni. Non è detto che chi non piange non provi emozioni o non le manifesti, alcune persone usano altre strategie per elaborare il proprio stato emotivo, come scrivere un diario o poesie, ascoltare musica, fare attività fisica, parlare con qualcuno, dipingere.

Personalità. Chi ha un approccio razionale e analitico ai problemi può essere meno incline a usare lo sfogo emotivo come gestione dello stress.  Chi ha un forte autocontrollo può temere il pianto per il rischio di essere sopraffatto e non riuscire a contenere le emozioni.

Tendenza a reprimere le emozioni. Le persone possono imparare che bisogna reprimere le emozioni, ad esempio perché nella propria famiglia esprimere ciò che si prova è considerato un segno di debolezza o comunque un comportamento inopportuno, che sia preferibile nascondere agli altri emozioni e sentimenti. Per paura del giudizio, per paura di essere di peso agli altri, per mostrarsi forti, si impara perciò a nascondere le emozioni e progressivamente a reprimerle alla radice, non riuscendo più neanche a percepirle.

Ambiente familiare. L’ ambiente familiare può inibire il pianto in vari modi. Genitori che non piangono mai trasmettono un modello di gestione delle emozioni in cui il pianto non è considerato uno strumento naturale e utile; la presenza di genitori in difficoltà o sofferenti può indurre il figlio a  non esprime la propria sofferenza per timore di danneggiare i genitori e farli stare ulteriormente male; genitori che invalidano le emozioni dei figli non riconoscendole, respingendole, criticandole, ridicolizzandole, minimizzandole inducono i figli a dubitare di ciò che provano, a non saperlo riconoscere ed esprimere; genitori invadenti e controllanti possono indurre i figli e reprimere le proprie emozioni per adattarsi ai bisogni del genitore; genitori trascuranti e maltrattanti possono portare i figli a una chiusura emotiva protettiva e a un distacco dalle emozioni proprie e altrui nel tentativo di rendersi meno vulnerabili.

Cultura di appartenenza. La cultura di appartenenza incide sull’espressione delle emozioni stabilendo regole su ciò che ci si aspetta, ad esempio in base al genere. Nella nostra cultura le donne sono legittimate al pianto e in generale all’espressione delle emozioni molto più degli uomini. In effetti, le donne piangono molto più frequentemente degli uomini, piangono più facilmente davanti ad altre persone e percepiscono il pianto come benefico, mentre gli uomini piangono meno, si vergognano a farlo davanti ad altri e tendono a vivere negativamente il proprio pianto come segno di debolezza, fragilità e scarsa virilità. Gli uomini desiderano piangere tanto quanto le donne, ma più spesso si trattengono. Le lacrime sono comunque viste come l’esternazione di una fragilità personale indipendentemente dal genere e l’idea che sia meglio soffrire in silenzio permea la nostra cultura e costituisce uno dei fattori che bloccano l’espressione emotiva.

Le persone che non piangono non hanno necessariamente un qualche tipo di difficoltà psicologica, inoltre il fatto di non piangere non significa che una persona non provi emozioni, sia distaccata o sia particolarmente forte. Abbiamo a disposizione diversi modi per sfogare le emozioni, per comunicarle agli altri e per trovare sollievo, e il pianto è solo uno di questi. Se tuttavia il fatto di non riuscire a piangere suscita frustrazione e disagio o potrebbe segnalare un sottostante stato depressivo, è utile rivolgersi a un professionista della salute mentale che possa valutare e aiuti ad esplorare e superare possibili blocchi.

Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
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