“Rimpiangiamo il passato anche perché lo ricordiamo male”: così R. Gervaso spiegava la tendenza umana alla nostalgia per i tempi andati, e anche la psicologia conferma quanto la distorsione operata dalla nostra memoria contribuisca ad abbellire il passato e rendercelo più desiderabile del presente.
La maggior parte delle persone ricorda con nostalgia il proprio passato e questo avviene a causa di un meccanismo di selezione operato dalla memoria, per cui dimentichiamo o rimuoviamo molti ricordi, o perché poco significativi, o perché traumatici.
Non possiamo ricordare tutto perché il nostro cervello sarebbe soverchiato da una quantità di informazione ingestibile, pertanto molti dati vengono scartati e vanno perduti. Ma perché tendiamo a potare le informazioni in modo da far apparire il passato più roseo di quanto fosse?
L’errore cognitivo dei “bei tempi andati”
La “sindrome dell’epoca d’oro” è la tendenza a ricordare o immaginare quanto si stesse meglio in epoche precedenti. L’epoca idealizzata può essere la nostra giovinezza, la nostra infanzia, ma anche un periodo storico che non abbiamo vissuto in prima persona e che pensiamo ci sarebbe stato più affine, così da rammaricarci di essere nati nel tempo sbagliato.
Si tratta di un errore cognitivo, ovvero un errore di valutazione della mente che si basa su due meccanismi: negazione del presente e idealizzazione del passato. Da un lato viviamo un presente insoddisfacente che rifiutiamo, dall’altro ci rifugiamo in un passato che ci appare molto migliore, in cui ci illudiamo che saremmo stati bene, e che comunque non possiamo avere e che non può tornare. Si tratta perciò di un meccanismo sterile che da una parte respinge ciò che è possibile nel presente e dall’altra non permette nessuna possibilità di cambiamento, portando a una stagnazione nella nostalgia di un tempo mitizzato.
Confrontare presente e passato non porta a una valutazione oggettiva perché la mente tende ad estremizzare: più siamo insoddisfatti, tristi o delusi nel presente, più nel confronto il passato ci appare felice e irraggiungibile, per consentirci una difesa, una via di fuga.
Ciò che più rimpiangiamo del passato, inoltre, non è tanto una condizione specifica: è soprattutto il fatto che ancora non sapevamo come sarebbero andate le cose, quindi ciò di cui più abbiamo nostalgia sono le nostre aspettative di allora, l’illusione di allora di avere ancora possibilità illimitate.
Il “senno di poi”
In parte la nostra incapacità a ricordare il passato per ciò che effettivamente era dipende dal fenomeno del “senno di poi”, più propriamente definito in psicologia cognitiva “errore del giudizio retrospettivo”. Si tratta, appunto, di un errore, una distorsione della nostra mente che ci induce in inganno. Per opera di questo meccanismo cognitivo, non siamo più in grado di risalire alla reale situazione da cui siamo partiti, perché le informazioni che abbiamo acquisito a posteriori (ciò che popolarmente chiamiamo “il senno di poi”), vanno a modificare irrimediabilmente l’idea iniziale che ne avevamo e non riusciamo più ad accedere ai ragionamenti e alle emozioni che ci avevano condotto a fare certe scelte e a prendere certe decisioni.
La nostra mente, infatti, utilizzando le informazioni aggiunte dopo, mette in riga i fatti passati, ne seleziona alcuni e ne sfronda altri, li riordina secondo una concatenazione logica fino a farci sembrare inevitabile che da certe premesse e da certe cause scaturissero certe conseguenze, eliminando tutti gli altri aspetti che rendevano la situazione del passato molto più complessa.
L’errore del “senno di poi” ha una funzione utile: si pensa che serva proprio per liberare spazio nella memoria eliminando le informazioni non accurate in favore di quelle che si sono rivelate più precise. Tuttavia, questo risparmio costringe a perdere informazioni importanti e distorce il ricordo.
Tornare indietro pur di non soffrire oggi
Questa tendenza della mente ad “abbellire” il passato spiega anche la difficoltà a superare ad esempio la fine di una relazione sentimentale o un lutto. Il dolore unito alla lontananza fisica e temporale dalla persona perduta comporta un’idealizzazione, divengono predominanti i ricordi delle sue qualità positive e del buon tempo vissuto insieme mentre dimentichiamo gli aspetti negativi della persona e della relazione o la sofferenza che questi ci procuravano.
Così, pur di sottrarci alla sofferenza presente, possiamo rimpiangere con nostalgia anche una relazione che in realtà era insoddisfacente e che magari avevamo deciso di chiudere. Ma quando poi ci confrontiamo con gli inevitabili aspetti dolorosi di una fine, ecco che rivalutiamo il passato, i problemi ci appaiono superabili e non siamo più così certi della decisione presa.
Una speranza per il futuro
Al di là della tendenza a percepire il passato migliore del presente a prescindere dalle effettive condizioni, dobbiamo considerare che l’epoca attuale che stiamo vivendo presenta oggettivamente numerosi aspetti critici e il futuro appare più che mai minaccioso.
Siamo così particolarmente spinti a coltivare l’idealizzazione del passato e a rifugiarci nei ricordi, mitizzando le epoche trascorse e dimenticandone i lati oscuri. La nostalgia può però anche avere una funzione positiva e costituire una risorsa. La nostalgia ci consente di alleviare il malessere presente recuperando ricordi piacevoli, funge da promemoria di esperienze di benessere, affetto e successo, attinge al passato per ispirarci e motivarci con una maggiore speranza nel futuro.
Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
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