Benessere

Non sono “solo parole”: gli effetti della psicoterapia sul cervello

Il miglioramento clinico riferito dai pazienti e le modificazioni del metabolismo cerebrale sono modi per misurare gli effetti della psicoterapia: che differenza c'è con l'uso di farmaci? Parola alla psicologa Lucia Montesi

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“Parlarne non mi risolverà di certo i problemi”, “Parlo con i miei amici, è uguale ed è gratis”, “Sono solo parole”, “Non credo a queste cose”: sono molte le persone scettiche sull’utilità della psicoterapia, sia perché la equiparano a una “chiacchierata”, una conversazione di quelle che ogni giorno scambiamo con amici o familiari, sia perché ritengono che delle semplici parole non possano agire sui sintomi di un disturbo psicologico.

Il problema della misurabilità degli effetti della psicoterapia è stato da sempre oggetto di interesse. Se fino a poco tempo fa ci si basava solo sul resoconto del paziente tramite questionari sul suo benessere prima e dopo la terapia, oggi le tecniche di neuroimaging, in particolare risonanza magnetica e PET (tomografia a emissione di positroni) ci permettono di osservare le modificazioni biologiche indotte sul cervello dalla psicoterapia e avere le prove definitive della sua capacità di indurre cambiamenti duraturi, riscontrabili non solo nel comportamento manifesto della persona, ma anche a livello di cambiamenti neurobiologici: le aree cerebrali che in presenza del disturbo funzionano in modo alterato, dopo la psicoterapia mostrano un funzionamento sempre più sovrapponibile a quello di chi non presenta il disturbo.  Le modificazioni del metabolismo cerebrale riscontrate dopo psicoterapia sono correlate al miglioramento dei sintomi. Il tutto avviene grazie alla particolare relazione tra terapeuta e paziente.

Lucia Montesi
La psicoterapeuta Lucia Montesi

Le psicoterapie sono diversi tipi di tecniche terapeutiche che intervengono sulla sofferenza umana con mezzi psicologici e con approcci diversificati. Al di là delle differenze di approccio, si basano di norma su colloqui tra terapeuta e paziente, colloqui che differiscono da altri tipi di colloqui e da una comune conversazione, perché finalizzati a comprendere la realtà psichica del soggetto e a modificarla attraverso tecniche specifiche di ogni orientamento. Il colloquio psicoterapeutico  richiede perciò competenze professionali altamente specialistiche e non ha nulla a che vedere con la conversazione che possiamo avere con un amico o, ad esempio, con un sacerdote.

Ripetuti colloqui psicoterapeutici comportano nel paziente l’apprendimento di modalità più adattive di pensiero e di gestione delle emozioni, apprendimento che trova un riscontro nelle modificazioni a livello cerebrale. Del resto, tutti i nostri apprendimenti, tutte le nostre esperienze hanno un correlato biologico nel cervello in quanto restano in memoria e lo modificano. Ciò avviene massimamente durante l’infanzia, ma prosegue per tutta la vita. Così come certe esperienze possono provocare sofferenza, a cui corrisponde un certo funzionamento del cervello, la psicoterapia comporta un nuovo apprendimento capace di ridurre o eliminare la sofferenza e di modificare, in modo corrispondente, il funzionamento delle aree cerebrali interessate.

Numerosi studi hanno indagato gli effetti sul cervello delle psicoterapie (tra gli altri, gli studi di Karlsson 2011, Quide et al. 2013, Kircher 2013, Schienle et al.2014, Fumark et al. 2002, Pagani et al. 2013, Wykes-Brammer-Mellers et al, 2002, Brody et al. 2001, Martin et al. 2001, Paquette et al. 2003, Pensades et al. 2002, Janiri et al. 2009,  Del Corno e Lingiardi, 2010,  Linden 2006, Gabbard 2007). La maggior parte degli studi ha analizzato gli effetti della psicoterapia cognitivo-comportamentale, perché per specificità e replicabilità dell’intervento si presta bene ad essere inserita in un protocollo. Per questo tale tipo di terapia vanta il maggior numero di studi che ne provano l’efficacia. Altri approcci psicoterapeutici hanno finora avuto meno conferme scientifiche, non perché meno efficaci, ma perché per tipo di intervento o per durata sono più difficili da inserire in studi sperimentali. Anche tra i vari disturbi psicologici, alcuni si prestano meglio di altri ad essere studiati: ad esempio, è più semplice studiare gli effetti della psicoterapia su un disturbo più definito e circoscritto come una fobia specifica (la paura dei ragni, la paura del sangue ecc.), piuttosto che su un disturbo più complesso come una depressione.

Dalle ricerche effettuate, emerge che la psicoterapia produce una modificazione delle funzioni cerebrali in pazienti con una grande varietà di disturbi: ansia sociale, panico, fobie, disturbo post-traumatico da stress, depressione maggiore, disturbo ossessivo compulsivo, disturbo borderline di personalità, schizofrenia. Nel confronto tra effetti della psicoterapia e del farmaco, emerge che entrambi sono in grado di produrre un miglioramento clinico ed entrambi modificano l’attività neuronale. Vediamo nello specifico le modificazioni indotte dalla psicoterapia nei principali tipi di disturbi:

-Nei disturbi d’ansia, le modificazioni prodotte dalla psicoterapia riguardano l’ippocampo, l’amigdala e la corteccia prefrontale. In particolare, la psicoterapia permette di riequilibrare il cosiddetto “circuito della paura” aumentando l’attività della corteccia (che risulta diminuita nei disturbi d’ansia), che a sua volta inibisce l’attività dell’amigdala (che risulta eccessiva nei disturbi d’ansia).

-Nel disturbo ossessivo-compulsivo, la psicoterapia cognitivo-comportamentale produce una normalizzazione dell’attività del nucleo caudato, una struttura sottocorticale che insieme a corteccia orbitofrontale, talamo e gangli della base costituisce un circuito il cui funzionamento risulta alterato nel disturbo.

-Nel disturbo depressivo, appare alterato il funzionamento della corteccia prefrontale dorsolaterale e ventrolaterale, del giro del cingolo anteriore e dell’insula, del lobo temporale, del talamo e dei gangli della base. La psicoterapia normalizza l’attività di queste aree con effetto analogo a quello degli antidepressivi serotoninergici, che aumentano la serotonina, che a sua volta attenua l’attività di queste strutture.

-Nella schizofrenia, laddove sia applicabile una psicoterapia, migliorare le abilità cognitive  e le strategie di elaborazione delle informazioni riduce l’ipoattivazione delle aree frontali, considerata responsabile dei deficit cognitivi della schizofrenia.

Alcuni degli studi hanno riscontrato che gli effetti analoghi prodotti da farmaci e da psicoterapia sono però il risultato di meccanismi di azione differenti, con modificazioni relative a strutture diverse del sistema nervoso: gli antidepressivi, ad esempio, sembrano agire sull’amigdala e quindi sulla generazione delle emozioni negative, mentre la psicoterapia agirebbe maggiormente sulla corteccia prefrontale e quindi sul controllo cognitivo delle emozioni. La psicoterapia agirebbe dall’alto verso il basso, il farmaco dal basso verso l’alto. Questo spiegherebbe anche la maggior durata degli effetti della psicoterapia e il minor numero di ricadute rispetto al farmaco.

Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
Per appuntamento tel. 339.5428950
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