Benessere

Perché lascio sempre le cose a metà?

La tendenza a non portare a termine attività e progetti lasciandoli incompiuti può comportare malessere e frustrazione. Per sbloccarsi occorre rintracciarne le cause profonde

La psicoterapeuta Lucia Montesi

Può trattarsi di compiti quotidiani come sbrigare una pratica sul lavoro, fare le pulizie domestiche, leggere quel libro comprato tempo fa o andare in palestra, oppure di progetti più ampi e complessi come studiare all’università, avviare un’attività lavorativa, mantenere una relazione affettiva: in ogni caso, cominciamo e poi a un certo punto abbandoniamo, smettiamo senza arrivare alla fine, lasciamo a metà e in sospeso. A tutti capita, in alcune circostanze, e non è un problema, non tutto deve essere per forza completato. Quando però diventa una caratteristica costante, di solito procura un malessere: accumulare tanti cicli incompiuti ci fa sentire incapaci, stagnanti, frustrati; ci rimane addosso una perenne sensazione di urgenza e sopraffazione, oppure la sensazione che stiamo sprecando energie, se non l’esistenza stessa.

“Perché lascio le cose a metà?” è una domanda che mi sento rivolgere spesso. Come per la maggior parte dei comportamenti umani, non c’è un’unica spiegazione. Per ogni singolo individuo, possiamo ipotizzare cause anche molto diverse. In certi casi, solo una psicoterapia può fare luce sui motivi profondi e aiutare a sboccarsi.

A volte il motivo è apparentemente semplice e facilmente intuibile: abbiamo poco tempo, veniamo continuamente interrotti da stimoli o richieste esterne, ci spendiamo su più fronti (il multitasking tipico del nostro contesto sociale), siamo sollecitati da continue urgenze che ci costringono a saltare da un’attività all’altra col rischio che molte restino in sospeso. In realtà, dovremmo approfondire il motivo per cui facciamo fatica a organizzare il tempo, a ritagliarci spazi di ricarica, a selezionare le richieste dicendo anche dei “no”. Se non comprendiamo questi motivi più profondi, sarà inutile tentare di applicare tutti quei suggerimenti pratici che promettono di renderci efficienti e ben organizzati, come pianificare gli obiettivi, spezzettarli in passi più semplici, definire le nostre priorità.

Possiamo abbandonare un’attività o un compito perché pensiamo che abbia scarso valore, che non sia importante, che se proseguiamo o no non faccia la differenza. Può dipendere da una scarsa autostima, dall’insicurezza, dal sentirci sotto esame. Possiamo credere che tanto lo faremmo male, che non siamo capaci, e tanto vale abbandonare.

Può essere parte di un più ampio quadro depressivo. Nella depressione clinica, all’umore depresso si accompagnano il senso di fallimento, una visione pessimistica di sé, del mondo e del proprio futuro. Tutto appare inutile, privo di senso o destinato alla rovina, mancano speranza e fiducia, pertanto attività e progetti non vengono iniziati o proseguiti.

Smettiamo ed evitiamo di proseguire per evitare di confrontarci col risultato finale, che può essere il giudizio degli altri, ma anche il nostro. Se non arriviamo fino in fondo, non corriamo il rischio di vedere il fallimento. Evitiamo di metterci in gioco completamente. Possiamo durare finchè abbiamo buoni risultati e poi smettere prima che possano presentarsi ostacoli o maggiori complessità che potrebbero farci fallire. L’eccesso di perfezionismo conduce alla stasi: non ci sentiamo mai abbastanza pronti e rimandiamo all’infinito: per evitare di non farlo perfetto, finiamo per non farlo mai. Più aspettiamo, pensando di poter fare meglio, più dubbi ci vengono e il momento giusto non arriverà mai.

Non è solo l’insuccesso a spaventarci e bloccarci. Anche se può apparire assurdo, può essere al contrario  proprio la prospettiva del successo a intimorirci. Se avremo successo, gli altri potrebbero avere maggiori aspettative nei nostri confronti, pretendere da noi altri buoni risultati. Oppure il successo potrebbe comportare cambiamenti che inconsciamente ci inquietano: ad esempio, portare a termine l’università può significare doverci assumere la responsabilità di lavorare, o di non dipendere più dalla nostra famiglia. Avviare un lavoro di successo, persino seguire efficacemente una dieta,  possono farci temere inconsapevolmente un contraccolpo, ad esempio, sui nostri equilibri di coppia. O ancora, temiamo il vuoto dopo il raggiungimento di un  obiettivo. Perciò non arriviamo fino in fondo o ci autoboicottiamo, per mantenere gli equilibri esistenti.

Possiamo avere difficoltà a proseguire un compito quando non corrisponde a una nostra autentica scelta, quando facciamo nostri obiettivi che in realtà non ci appartengono: imitiamo altri, o cerchiamo di soddisfare le loro attese, vogliamo dimostrare qualcosa e qualcuno. Smettiamo, perciò, non solo perché la motivazione è poco solida e perché facciamo cose che ci pesano perchè lontane dai nostri reali interessi e passioni, ma anche perché può scattare in noi un meccanismo di ribellione e opposizione.

Possiamo lanciarci nelle attività presi dall’entusiasmo senza considerare i possibili ostacoli e le difficoltà, senza valutare bene le decisioni e senza distinguere tra obiettivi a breve e lungo termine. La difficoltà a tollerare la frustrazione può indurci ad abbandonare impulsivamente un compito e ricominciare con uno nuovo. Possiamo avere mille energie per ciò che ci piace, e lasciare  a metà i compiti pesanti e sgradevoli, ci stanchiamo quando viene meno l’effetto novità dell’inizio e le attività perdono attrattiva. In questo caso abbiamo bisogno di imparare ad autodisciplinarci, a portare avanti anche ciò che costa fatica e a tollerare di convivere con le emozioni negative che questo comporta.

Dott.ssa Lucia Montesi
Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
Consulenza anche via Skype
Tel. 339.5428950