“Dipinsi un quadro – cielo grigio – e lo mostrai a mia madre. Lei disse bello, suppongo. Così ne dipinsi un altro, tenendo il pennello tra i denti, Guarda mamma, senza mani. E lei disse Suppongo che verrebbe apprezzato da qualcuno che sapesse il modo in cui lo hai dipinto e fosse interessato alla pittura. Io non lo sono.
Suonai un assolo di clarinetto del Concerto per clarinetto di Gounod con la Filarmonica di Buffalo. Mamma venne ad ascoltare e disse Bello, suppongo. Così lo suonai con la Sinfonica di Boston, sdraiata e usando gli alluci. Guarda mamma, senza mani. E lei disse Suppongo che verrebbe apprezzato da qualcuno che sapesse il modo in cui lo hai suonato e che fosse interessato alla musica. Io non lo sono.
Preparai un soufflè alla mandorla e lo offrii a mia madre. Disse Buono, suppongo. Così ne preparai un altro usando il fiato per montarlo, glielo servii con i gomiti, Guarda mamma, senza mani. E lei disse Suppongo che verrebbe apprezzato da qualcuno che sapesse il modo in cui lo hai preparato e che fosse interessato alla cucina. Io non lo sono.
Così disinfettai i polsi, eseguii l’amputazione, gettai le mani e andai da mia madre, ma prima che potessi dire Guarda mamma, senza mani, lei disse Ho un regalo per te, e insistette perché provassi i guanti di capretto blu per accertarsi che fossero della mia misura.”
È una poesia agghiacciante di Cynthya Macdonald che ho scelto di riportare per intero, pur essendo molto lunga, perché descrive in maniera magistrale e spietata quello che alcuni figli devono sopportare: il dolore di non essere visti dai propri genitori e il desiderio struggente di poter avere su di sé quello sguardo.
Nel lavoro terapeutico ho incontrato alcuni di questi figli ormai adulti, che portano dentro una sofferenza mai superata. Quasi sempre tentano di accantonarla, di sopirla, trasformandola in disprezzo per quel genitore, in un ostentato distacco. Il grido originario – «Perché non mi vedi? Perché non sono importante per te?» – e il disperato desiderio di amore emergono raramente, sono più spesso camuffati dietro la rabbia, il cinismo, un illusoria e sbandierata indifferenza. Ma questi figli di genitori trascuranti, emotivamente lontani, disinteressati e frustranti, imparano che non ci si può fidare, che non puoi contare su chi più di tutti dovrebbe prendersi cura di te, che bisogna imparare a bastarsi. Fanno una enorme fatica a creare dei legami affettivi pieni e appaganti perché oltre un certo punto non possono lasciarsi andare, nel timore di non potersi fidare e di rivivere quell’antica cocente delusione. Così evitano rapporti affettivi profondi, arrivando a distruggere le relazioni a cui tengono per esorcizzare la paura della perdita. Oppure si spostano da una relazione all’altra cercando indiscriminatamente da chiunque quello sguardo che è mancato, ma sempre con l’impossibilità di procedere verso una piena, vera intimità con l’altro. Scelgono partner anaffettivi o, al contrario, dipendenti affettivamente da loro, con cui però non c’è uno scambio reciproco, oppure pongono al partner richieste esagerate e inesaudibili: il rapporto con l’altro non è una condivisione paritaria ma una ipercompensazione di un disperato bisogno d’affetto del genitore. Imparano di non valere abbastanza, di non meritare amore. Fanno fatica a capire i sentimenti degli altri e ad immedesimarsi con gli altri, a provare empatia, perché non hanno avuto chi lo ha fatto con loro, chi ha intuìto e accolto le loro emozioni e i loro bisogni insegnandogli a dargli un nome, a contenerli, a gestirli.
La relazione psicoterapeutica offre a queste persone la possibilità di sperimentare un legame con qualcuno che fa tutte queste operazioni di accoglimento, traduzione, restituzione, empatia e sostegno che sono mancate nella relazione coi genitori e consente di sviluppare così un’immagine buona di sé e la fiducia nell’altro e nel mondo. Si crea un legame, una dipendenza temporanea e nutriente, per poi gradualmente arrivare all’autonomia. In questa cornice sicura e accogliente, è possibile avventurarsi a rivedere la storia del proprio legame con il genitore e soprattutto la storia personale del genitore trascurante, per scoprire, spesso, che a sua volta ha vissuto gravi mancanze e non ha ricevuto gli strumenti per poter essere un genitore sufficientemente buono.
Dott.ssa Lucia Montesi
Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Tel. 339.5428950