«Continuo questa relazione o è meglio chiudere?», «Secondo lei dovrei portare avanti la gravidanza?», «Dovrei cambiare lavoro o tenere questo?», «Faccio bene a trasferirmi secondo lei?», «Lei che farebbe al posto mio?», «Mi dia un consiglio per farmi passare l’ansia», «Vorrei dei consigli per essere più sicuro di me»: sono solo alcuni esempi di richieste ricevute dai miei pazienti durante il primo colloquio, a cui arrivano con la speranza che lo psicologo dica loro cosa fare, che scelte prendere, o che dia velocemente delle ricette pratiche per risolvere i loro problemi. In altri casi, invece, l’aspettativa che lo psicologo dica che cosa fare è qualcosa che spaventa e che trattiene dal chiedere aiuto: «Siamo in crisi come coppia ma non voglio andare da uno psicologo perché ho paura che ci dirà di separarci».
L’idea che lo psicologo dispensi dei consigli è molto comune, è anzi il malinteso più frequente riguardo alla nostra professione. Quando la persona che si rivolge a noi scopre che non avrà la risposta sperata, o almeno non la avrà nel modo che si aspettava, può reagire con delusione e disappunto: «Ci sono andata apposta per sapere cosa fare e quello mi ha risposto con una domanda! Non serve a niente andare da uno psicologo!». Ma perché lo psicologo e lo psicoterapeuta non danno consigli? E se non fanno questo, allora in che consiste il loro lavoro? Lo scopo del lavoro psicologico è che sia la persona stessa a poter decidere da sola, in autonomia, pienamente consapevole delle opzioni a disposizione e di cosa ciascuna comporti e libera da condizionamenti interni ed esterni. Il lavoro dello psicologo consiste nel rendere questo possibile, nel far sì che la persona sia in grado di decidere autonomamente, ed è molto più difficile e complesso, ma anche più costruttivo e proficuo che dare una soluzione pronta.
Per spiegare il ruolo dello psicologo, possiamo utilizzare la metafora della strada e della direzione da prendere. Immaginiamo di trovarci a un crocicchio e di non sapere in che direzione andare. Il compito dello psicologo non è quello di dire «Prendi questa strada», ma di valutare insieme alla persona le diverse vie percorribili: quali strade ci sono, dove portano, che ostacoli presentano, che risorse ha la persona per superarli, come si sente a percorrere ogni strada e per quale motivo, cosa la attrae e cosa la spaventa di ognuna e perché, quali sono i suoi sentimenti a riguardo, e così via. Per fare emergere tutto questo materiale dobbiamo porre molte domande, piuttosto che dare risposte, domande ben mirate che stimolano riflessione e ragionamento o che mettono a fuoco sentimenti ed emozioni (non sempre così chiari alla persona), tutti elementi da cui poi discenderà la decisione finale.
Perché non è utile e, anzi, è un errore che sia lo psicologo a dire cosa fare, o, metaforicamente, a dire quale strada prendere?
-Di fronte a scelte e decisioni, in particolare quelle che possono avere un risvolto etico, il consiglio dello psicologo può riflettere la sua visione del mondo, i suoi valori, le sue credenze, che possono essere molto lontani da quelli del paziente. Il suo consiglio potrebbe perciò interferire con i valori della persona, andare in contrasto; il paziente può adeguarsi al “volere” del professionista che ritiene più esperto e capace, ma in questo modo metterebbe a tacere il proprio modo di essere e pensare e questo non sarebbe sano né utile, inoltre potrebbe non sentirsi libero, in quanto desidera, ad esempio, non deludere lo psicologo. La condizione ideale è, anzi, quella in cui il paziente non sa dire cosa voglia o si aspetti lo psicologo, perché questo nella relazione non si percepisce e non pesa.
–Dire al paziente cosa fare significa renderlo dipendente, mentre lo scopo dell’intervento psicologico è dare alla persona dei mezzi e un metodo per gestire i suoi problemi. Idealmente, la persona al termine di un percorso psicologico ha interiorizzato una modalità di ascolto di sé, di interpretazione, di ragionamento, di comunicazione che può applicare da sola in altre e nuove circostanze di empasse, senza ogni volta dover dipendere da una soluzione esterna.
–Quando è lo psicologo a dirgli ciò che deve fare, il paziente può non poterlo mettere in pratica perché lo sente estraneo, irrealizzabile, oppure può viverlo come un’imposizione e ribellarvisi, malgrado il proprio desiderio di farsi aiutare. Se, riprendendo la metafora del crocicchio, il paziente si dirigesse verso un burrone, non avrebbe alcuna utilità che lo psicologo gli dicesse, anche con tutte le forze, “Non devi andare lì!”. Piuttosto, il suo compito è rendere la persona pienamente consapevole del burrone in fondo alla strada, dei motivi per cui si sta dirigendo verso un burrone, di cosa tenta di ottenere andando verso un burrone, dell’esistenza di percorsi alternativi per avere ciò che vuole ottenere, dell’esistenza di sue risorse che le permetterebbero i percorsi alternativi. L’intervento psicologico allarga lo sguardo, permette di vedere altri punti di vista e alternative possibili, di avere molteplici chiavi di lettura dei comportamenti propri e altrui.
-Ciò che lo psicologo può suggerire, sono semmai i mezzi o i metodi possibili per gestire i problemi: potrebbe insegnare delle tecniche, come ad esempio quella del “messaggio Io” o dell’ “ascolto attivo” perché il paziente comunichi in modo più efficace con gli altri, ma si tratta appunto di strumenti che poi il paziente userà autonomamente. Con il messaggio io, nello specifico, la persona ha uno strumento per far comprendere meglio agli altri i propri bisogni e sentimenti, ma poi lo potrà usare in base alla direzione che sceglie di prendere, sia per migliorare la sua relazione di coppia, che, al contrario, per chiuderla: ad essere suggerito dallo psicologo non è perciò la direzione, ma il mezzo (o meglio, i possibili e molteplici mezzi) per percorrerla in modo più funzionale.
-Anche i mezzi, gli strumenti, le tecniche, non possono essere consigliati con la rapidità che molti pazienti si aspettano quando chiedono aiuto, perché prima è necessaria una fase di valutazione che in genere richiede più di un colloquio, e perché tra i vari mezzi utilizzabili occorre decidere insieme al paziente quale sia più adatto. Si tratta insomma di un lavoro su misura, come in sartoria; diversamente, sarebbe un intervento inutile, destinato al fallimento, oppure controproducente o dannoso. A una persona che chieda come placare l’ansia, non si può, ad esempio, consigliare frettolosamente di fare rilassamento, perché anche ciò che può sembrare una ricetta utile per tutti, può peggiorare l’ansia in alcuni, o slatentizzare aspetti psicotici. Quindi, in ogni caso anche la scelta di una tecnica si valuta e si costruisce insieme al paziente.
Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Consulenza, sostegno e psicoterapia online tramite videochiamata
Studi a Piane di Camerata Picena (AN) e
Montecosaro Scalo (MC)
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