Non è un argomento prettamente natalizio, ma l’usanza dello scambio dei doni che contraddistingue il Natale è un duro banco di prova per l’avaro ed è una delle occasioni in cui questa caratteristica della personalità si rivela in maniera più spietata, traducendosi nel regalo riciclato, misero, o comunque ampiamente sottodimensionato rispetto ai regali ricevuti.
L’avarizia è la tendenza ad accumulare denaro e beni e a rifiutare di condividere con gli altri ciò che si possiede. L’avarizia non è oculatezza, né parsimonia. Essere parsimoniosi e prudenti nelle spese può essere una saggia qualità, può evitare sprechi e permettere di gestire intelligentemente il denaro disponibile. Però una persona parsimoniosa contraccambia quanto riceve in modo adeguato. La persona avara no, non tiene conto del valore di quanto riceve, il suo obiettivo è evitare più possibile di dare, di condividere, di privarsi di ciò che è suo.
Il suo comportamento non è dettato da una condizione economica precaria, anzi, il più delle volte l’avaro è anche benestante e potrebbe teoricamente spendere grosse somme senza difficoltà. Chi è parsimonioso evita spese esagerate ma non si nega piaceri o comodità, mentre chi è avaro può arrivare a costringere se stesso e altri a una qualità di vita molto compromessa, ad esempio vivendo al freddo per non accendere i termosifoni.
Difficile trovare qualcuno che ammetta candidamente di essere tirchio. Chi lo è, non ritiene di esserlo e non lo vive come un problema, anche quando invece l’avarizia è tale da procurare conflitti e deterioramento delle relazioni personali, come nel caso in cui l’avaro costringa anche i familiari a rinunce o limitazioni ingiustificate o a uno stile di vita estremamente spartano.
La persona avara tende piuttosto a nascondere la sua avarizia dietro motivazioni apparentemente nobili: dice che va a piedi piuttosto che in auto per non inquinare, che non accende i termosifoni per evitare sprechi, che è meglio stare in casa perché mangiare al ristorante fa male perché le pietanze sono troppo condite, mentre il reale obiettivo delle sue scelte è solo uno: non spendere denaro. Allo stesso modo, usa stratagemmi a volte rocamboleschi per non dover pagare la sua parte o per evitare di offrire: dimentica casualmente il portafogli, dice che non ci sono bancomat nelle vicinanze, si nasconde dietro la colonna del bar per non dover ricambiare il caffè che gli è stato offerto giorni prima. Non gli importa di apparire ridicolo o offensivo, o probabilmente non si rende conto di risultare irrispettoso, tanto è preso dalla paura di perdere qualcosa che gli appartiene.
L’avaro non trova piacere nello spendere i propri soldi, ma piuttosto nell’accumularli o nel preservarli in vista di ciò che non accadrà mai. Il piacere è nel potenziale del suo denaro, nella sensazione di poter eventualmente utilizzarlo e nella sicurezza che ne deriva, nel conservare quello che possiede. Spesso chi è avaro ha anche altri tratti di personalità caratteristici: tendenza all’ordine, alla sospettosità, all’ipercontrollo, all’ansia. Anche nelle relazioni, può aver bisogno di controllare e dominare l’altro, come fa con i suoi beni materiali, proteggendosi ed evitando di condividere le emozioni per timore di essere ingannato. Le relazioni amorose e di amicizia, essendo in gran parte basate sulla reciprocità e la condivisione, possono essere gravemente compromesse dall’avarizia, perché l’altro si sente con considerato, non abbastanza importante.
Perché si diventa avari? Un’ipotesi vede l’origine dell’avarizia in precoci carenze affettive, in un’infanzia con genitori anaffettivi, per cui il bambino non si sente amato e degno di amore e trova rassicurazione nel controllare degli averi materiali. Nella storia di un avaro, c’è spesso un bambino che ha sentito di non poter contare sull’amore degli adulti, sulla loro disponibilità e presenza, e ha imparato a trovare sicurezza negli oggetti che può possedere. Il denaro diventa quindi un sostituto del genitore amorevole.
Per chi chiede aiuto, rendendosi conto dei danni che la propria avarizia sta producendo in termini di conflitti, perdita delle relazioni, solitudine o depressione, il lavoro terapeutico ha lo scopo di rielaborare la carenza affettiva presente nella storia personale. La terapia aiuta la persona a sentire che il “dare”, sia materialmente che emotivamente, non conduce alla rovina e la incoraggia ad esporsi emotivamente in una relazione paritaria e reciproca senza temere di essere sempre ingannata dall’altro.
Dott.ssa Lucia Montesi
Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
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