Molte persone si sentono in difficoltà nel chiedere aiuto ad altri quando hanno un problema e cercano di affrontare e risolvere tutto da sole, pur rischiando in questo modo di non farcela. Si tratta di una paura molto comune, che ostacola la possibilità di uno scambio reciproco di sostegno, che sia materiale o morale, carica di un fardello che potrebbe essere più leggero se condiviso e ostacola il miglioramento personale e il cambiamento.
Quali possono essere i motivi psicologici dietro questa reticenza a chiedere aiuto?
-Chiedere aiuto è considerato un segno di debolezza e una conferma della propria inferiorità e dei propri limiti. Chi non vuole chiedere aiuto può fare fatica a riconoscere la propria fragilità e la propria fallibilità, può vergognarsi di far sapere che si trova in una condizione di bisogno o che non riesce a cavarsela da solo; può temere un giudizio negativo, soprattutto in una cultura altamente individualista come la nostra, in cui tutti devono essere sempre altamente performanti e indipendenti, in cui il successo è un valore esaltato quotidianamente e in cui le emozioni negative come la fatica, la tristezza, la solitudine devono essere messe a tacere. Così, chiedere aiuto diventa sinonimo di non essere abbastanza competenti o forti.
–La persona non ha sufficienti abilità sociali per chiedere aiuto, soprattutto non ha sufficiente assertività, perciò non si sente neanche in diritto di chiedere aiuto. Chi è poco assertivo è poco capace di difendere le proprie necessità, di comunicare ciò che pensa o ciò di cui ha bisogno in modo diretto e chiaro, senza peraltro pretendere. Se una persona sente di valere poco, di non essere amabile o importante, non chiede perché non crede di meritare che l’altro le dedichi la sua attenzione e usi il proprio tempo per lei.
–Bassa autostima e convinzione che i propri bisogni non abbiano importanza. In questo caso le persone antepongono i bisogni degli altri ai propri, considerandoli prioritari e ponendosi sempre all’ultimo posto. In certi casi non sono più neanche in grado di connettersi con i propri bisogni, di percepirli, perché sono abituate fin da piccole a reprimerli, a minimizzarli o svalutarli, così come gli adulti facevano con le loro emozioni, le loro opinioni e i loro sentimenti.
–Paura di perdere potere nella relazione, di trovarsi in una condizione di debito e di subordinazione, di dover ringraziare.
–Paura di essere rifiutati, di fare una brutta figura o di essere delusi. Tutti, chiedendo aiuto, ci esponiamo all’altro e al rischio di ricevere un rifiuto, ma per alcune persone questo rischio è percepito come catastrofico, tanto da colpire profondante il senso di sé, come se il rifiuto significasse non essere abbastanza amabili.
-La convinzione che chiedere aiuto ad altri non sia giusto perché significa far perdere loro tempo e risorse, disturbare, dare fastidio, approfittarsi della loro disponibilità.
–La convinzione che siano gli altri a dover offrire spontaneamente il loro aiuto, senza bisogno di chiederlo.
–Orgoglio e senso di gratificazione nel fare tutto da soli e nel sentirsi capaci.
–Perfezionismo, che spinge a fare sempre di più e sempre meglio in un circolo vizioso che non ha mai fine e allontana sempre più dalla possibilità di chiedere aiuto.
–Precedenti rifiuti in cui la persona ha chiesto aiuto senza ottenerlo, che inducono a non avere fiducia negli altri e a smettere di chiedere. Spesso l’origine si trova in un’infanzia in cui i genitori sono stati assenti o trascuranti.
Come imparare a chiedere aiuto?
Come tutte le abilità sociali, anche saper chiedere aiuto è una capacità che può essere appresa e sviluppata. Ecco alcuni modi:
-dedicare del tempo a sé stessi per mettere a fuoco le proprie necessità e le proprie difficoltà, senza sminuirle e dando loro il valore che meritano; provare anche ad approfondire quale motivo può nascondersi dietro la propria riluttanza a chiedere aiuto;
–riconoscere che ognuno ha diritto a chiedere aiuto; riconoscere che siamo umani, che tutti abbiamo limiti e facciamo errori e che raggiungere la perfezione è impossibile;
–allenarsi a esprimere i propri bisogni in modo chiaro senza aspettare che siano gli altri ad offrire aiuto, perché di solito per gli altri non è così facile intuire come comportarsi, come avvicinarsi, come poter essere di aiuto, cosa possa essere accettato e gradito e cosa no, e anche le persone più disponibili ed empatiche potrebbero non comprendere le necessità di chi si trova in difficoltà. Pensiamo che le nostre necessità siano talmente evidenti che non occorre esplicitarle (ma in realtà non è così) e che se gli altri non ci aiutano è perché sono indifferenti o crudeli; proviamo così delusione e risentimento e ci chiudiamo sempre più in noi stessi, allontanando ancora di più la possibilità di essere compresi;
-ricordare che essere aiutati non solo è utile per chi ha bisogno, ma potrebbe anche rendere felice chi aiuta, piuttosto che essere un peso. Come noi ci sentiamo gratificati e felici se possiamo essere di aiuto a qualcuno che ci sta a cuore, e anzi possiamo soffrire quando non sappiamo in che modo essere utili a una persona in difficoltà a cui teniamo, perché non potrebbe essere lo stesso per gli altri che aiutano noi?
–allenarsi a chiedere aiuto poco alla volta, partendo da piccole richieste del quotidiano;
-considerare che il rifiuto è sempre un rischio presente, ma non toglie valore né al bisogno né alla persona.
Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Consulenza, sostegno e psicoterapia online tramite videochiamata
Per appuntamento tel. 339.5428950