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Diffidenza e sospettosità: quando diventano un problema e come superarle

Una certa dose di diffidenza può essere sana e proteggere dai pericoli, ma quando diventa eccessiva deteriora le relazioni e conduce all'emarginazione

donna triste alla finestra
(Foto da Pixabay di StockSnap)

Sospettosità e diffidenza vanno a braccetto: quando sospettiamo che gli altri possano tradirci, ingannarci, ferirci e farci del male, diventiamo diffidenti, ovvero non ci fidiamo, restiamo sulla difensiva, non ci esponiamo, abbiamo dubbi e perplessità che ci trattengono dall’affidare all’altro i nostri pensieri e sentimenti e dal consentirgli un qualche potere su di noi che potrebbe metterci in pericolo. Una certa dose di diffidenza può essere sana e avere un valore adattivo, mettendoci in guardia dai pericoli.

Lucia Montesi
La psicoterapeuta Lucia Montesi

Moltissime persone pensano che sia meglio non fidarsi degli altri e che sia opportuno essere prudenti, manifestando un certo grado di diffidenza e sospettosità.  D’altra parte, un eccesso di sospettosità e diffidenza può compromettere il funzionamento personale, relazionale e sociale sino a diventare un disturbo psicopatologico. A seconda di quanto sospettosità e diffidenza siano intense e pervasive, possiamo parlare di semplici tratti di personalità, o di un’intera personalità paranoide, o a livello patologico di un disturbo paranoide della personalità, o di un disturbo delirante di tipo persecutorio dove la sospettosità raggiunge una gravità massima con manifestazioni psicotiche, ovvero convinzioni di fatti non reali e bizzarri.

Come nasce la fiducia

La fiducia può essere definita come l’atteggiamento, verso altri o verso sé stessi, che risulta da una valutazione positiva di fatti, circostanze, relazioni, per cui si confida nelle altrui o proprie possibilità, e che generalmente produce un sentimento di sicurezza e tranquillità. Il sentimento di fiducia nasce e si sviluppa nell’ambito delle nostre prime relazioni con i nostri genitori.

Genitori a propria volta sospettosi e diffidenti trasmettono anche ai figli questa percezione del mondo e degli altri come pericolosi e ostili. Genitori assenti, trascuranti, con disturbi mentali, manipolativi, emotivamente non disponibili o francamente maltrattanti non consentono al bambino di sentirsi sicuro, di poter sviluppare la tranquillizzante percezione di poter contare su di loro, sulla loro presenza e sul loro aiuto.

Il primo modello di relazione appreso con i genitori viene poi trasferito a tutte le relazioni, pertanto se non possiamo fidarci dei nostri genitori, non ci fideremo di nessun altro. Anche esperienze dolorose successive possono minare la fiducia negli altri: un tradimento da parte del partner, un tradimento di un amico o di un collega di lavoro, atti di bullismo subìti possono renderci timorosi e diffidenti verso nuovi rapporti sentimentali, amicali e professionali.

Una profezia che si autoavvera

Un’ iniziale diffidenza può essere normale e anzi adattiva quando conosciamo una persona nuova, ma diventa un problema quando si prolunga e ci rende costantemente guardinghi, alla continua ricerca di segnali sospetti che poi finiamo per trovare, concentrando lì tutta la nostra attenzione e alimentando ulteriormente la nostra sospettosità, determinando di fatto il fenomeno della profezia che si autoavvera.

Quando siamo sempre sospettosi rischiamo infatti di inviare noi per primi agli altri dei segnali negativi di chiusura e ostilità, a cui gli altri potrebbero legittimamente reagire con comportamenti che poi noi interpretiamo come prova della loro ostilità, mentre sono in realtà una risposta a ciò che noi per primi comunichiamo. Siamo perciò certi di avere una conferma, “Ecco, visto, non mi sorride, ce l’ha con me!”, e non teniamo conto che può essere il nostro sguardo sospettoso o preoccupato a far sì che l’altro esiti a sorriderci.

La sospettosità può portarci anche ad essere irritabili e aggressivi quando pensiamo di essere danneggiati, anche per affronti minimi, nonché ad attaccare per primi nella convinzione di doverci difendere. Purtroppo questo modo di agire porta in effetti gli altri a reazioni di ostilità e di allontanamento, così da confermare la nostra idea distorta iniziale.

Le relazioni: un campo di battaglia

Sospettosità e diffidenza portano ad isolarsi, ad evitare molte situazioni che potrebbero essere piacevoli e vantaggiose, a non farsi conoscere e non conoscere gli altri. E meno la realtà è conosciuta, più appare ostile e minacciosa. La persona sospettosa non si confida per timore che ciò che dice venga usato contro di sé e per timore di essere criticata, mette in dubbio la lealtà di partner, amici e colleghi, è gelosa, si aspetta sempre di essere ingannata, percepisce ovunque attacchi alla sua persona a cui reagisce con rancore a aggressività, ansia e depressione. Può apparire sicura di sé o persino strafottente, ma nasconde una grande vulnerabilità.

Chi ha alti livelli di sospettosità e diffidenza appare freddo e razionale, quasi privo di sentimenti e di tenerezza; ha un pensiero acuto e sottile a cui non sfugge il minimo particolare. Non si lascia mai andare, non è capace di rilassarsi e di essere spontaneo. Tende ad entrare facilmente in conflitto con gli altri per la sua tendenza a polemizzare e contraddire ed è convinto che prima o poi in tutte le relazioni l’altro cercherà di fregarlo. Cerca la relazione e ne ha bisogno, ma chiede continue conferme ai suoi sospetti e prove di fedeltà.

Così i rapporti diventano un campo di battaglia e si deteriorano facilmente, perché gli altri si sentono continuamente sotto accusa senza motivo e provano rabbia, sconforto e delusione, rifiuto. Il prezzo da pagare per sentirsi protetti e non in balìa degli altri è quindi l’emarginazione, che a sua volta rinforza il bisogno di proteggersi.

Come diventare meno diffidenti

Per superare la nostra sospettosità, dobbiamo provare a rendere più flessibile la nostra interpretazione della realtà, formulando ipotesi alternative alle nostre convinzioni. Dovremmo imparare a mettere in dubbio le nostre stesse convinzioni, e non solo e sempre le intenzioni degli altri: sono così sicuro che questa persona voglia ingannarmi? Cosa mi fa pensare che mi sia ostile? Cosa ha fatto che mi conferma i miei timori? Cosa ha fatto che disconferma i miei timori? Come si comporta effettivamente con me? Quali sono le prove a favore della mia sfiducia e quali invece disconfermano i miei pensieri? Un  altro obiettivo è distinguere tra il nostro mondo interno e quello esterno: capire insomma che la persecuzione,  più che un comportamento dell’altro, è un nostro vissuto soggettivo, e che gli accadimenti esterni, spesso insignificanti, sollevano  in noi profondi vissuti personali di esclusione, paura, tristezza, rabbia che derivano da altro, solitamente  dalla nostra storia familiare.

Dobbiamo imparare a goderci ciò che di positivo ci arriva dall’altro, resistendo alla tentazione di sospettare “Cosa c’è dietro?”, ma per arrivare a questo abbiamo bisogno di ricostruire un’immagine di noi come persone degne e meritevoli di amore e rispetto, un percorso che può essere lungo e faticoso se nelle nostre prime relazioni familiari non li abbiamo ricevuti e pensiamo quindi non solo che nessun altro potrà darceli, ma anche che noi stessi non ne siamo meritevoli. Dobbiamo infine imparare ad accettare il margine di rischio e imprevedibilità presente in ogni relazione: per quanto possiamo stare all’erta, indagare, controllare, non avremo mai la certezza di non essere ingannati.

Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
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