“Quanti anni mi dai?”, “L’ergastolo!”, recita la battuta sovraimpressa alla foto di una ragazza dall’aspetto fisico sgradevole. Sotto, già vari “mi piace” e commenti feroci dopo pochi minuti dalla pubblicazione. È uno dei meme (immagini divertenti molto comuni sui social network) che circolano su Facebook e che ironizzano sull’aspetto di individui generalmente scelti a caso, sconosciuti e ignari.
In quell’immagine ho invece riconosciuto Lizzie Velasquez, la ragazza americana affetta da una rara malattia che le impedisce di accumulare peso oltre i trenta chili, divenuta famosa per la sua dolorosa e coraggiosa storia. Infanzia e adolescenza segnate dal bullismo dei coetanei e dalla derisione spietata, fino alla scoperta casuale su Youtube di un video su di lei, in cui veniva schernita come “la donna più brutta del mondo”, insultata e invitata da migliaia di persone a suicidarsi.
Lizzie è stata davvero sul punto di uccidersi, ma poi ha saputo invece trasformare le sue caratteristiche fisiche in un punto di forza ed è diventata una motivatrice, seguita proprio su Youtube da milioni di fan, ispirati dalla sua tenacia e della sua gioia di vivere.
Lizzie è un caso eccezionale, sia per la particolare deformazione del suo aspetto fisico, che per lo straordinario adattamento che è riuscita ad elaborare, diventando un personaggio noto in tutto il mondo. Ma sono migliaia, milioni le persone che in silenzio soffrono per il loro aspetto fisico, o meglio, per le conseguenze che essere brutti comporta nelle loro esistenze. Un dolore pungente e spesso inascoltato, liquidato in fretta da una negazione ipocrita e pretestuosa per cui non si dovrebbe neanche pronunciare la parola “brutto”. «Quello che conta è la bellezza interiore!», «Siamo tutti belli in modo diverso!», «Non è bello ciò che è bello…», «Devi solo saperti valorizzare!»: sono i commenti falsamente rassicuranti degli altri, magari gli stessi che poi cliccano “mi piace” sotto la battuta che ridicolizza il ciccione vestito male, la vecchia strabica, l’obesa col tanga sulla spiaggia. Perché lo facciamo quasi tutti prima o poi, con leggerezza, con una crudeltà gratuita di cui neanche ci accorgiamo e che può essere devastante per chi ne è vittima.
Molte persone brutte convivono fin da piccole con gli insulti, la derisione, le provocazioni dei coetanei, oppure con gli sguardi di riprovazione, o al meglio di indifferenza. Vedono che al loro sguardo e al loro sorriso non ricevono altrettanti sorrisi o sguardi di interesse come capita ai coetanei più belli e possono imparare a ritirarsi, evitare le situazioni più a rischio per sfuggire alla vergogna, alla mortificazione e all’umiliazione. Così non si espongono, diventano timidi solo per reazione, o al contrario arroganti per difendersi attaccando. Evitando giorno dopo giorno, l’esistenza è da subito plasmata, costretta a rinunce, deviata in una direzione distorta dalla necessità di proteggersi.
Altri diventano brutti dopo un incidente, una malattia che li deturpa e scoprono all’improvviso il peso dell’aspetto fisico: « Chi mi vorrà, adesso?», «Appena mando una mia foto in chat, non mi scrivono più». Tante mie pazienti oncologiche operate di tumore al seno o in cura chemioterapica, sono terrorizzate dai possibili cambiamenti fisici e dalla paura di diventare meno attraenti. Alcune (poche, per fortuna, ma sempre troppe…) dopo qualche mese, abbassando gli occhi, dicono «Mio marito non mi cerca più. Dice che così gli faccio impressione e proprio non ce la fa». Un dolore composto, dignitoso e rassegnato, che a me ogni volta stringe il cuore.
Alcune donne che sono cresciute senza mai sentirsi dire “Sei bella” neanche dai propri genitori, e che anzi sono state anche da loro svalutate per il proprio aspetto, possono poi cercare spasmodicamente e disperatamente qualcuno che glielo dica, cercando conferme a volte attraverso una sessualità frenetica e compulsiva. Anche quando hanno imparato a farne a meno e a puntare su altre qualità per attrarre gli altri, o si sono adattate alla solitudine, l’arrivo inaspettato di qualcuno che dica loro sinceramente «Sei bella» scoperchia di nuovo in un attimo e medica quell’antico dolore che sembrava superato, testimoniando che quel tipo di riconoscimento è comunque un bisogno che lascia un vuoto, un pezzo mancante se inappagato.
Il lavoro terapeutico con le persone che soffrono per il proprio aspetto fisico punta all’accettazione di sé, alla scoperta e valorizzazione dei propri punti di forza. Deve però prima ascoltare, accogliere e riconoscere il dolore che molto spesso hanno dovuto patire, o anche solo la maggior fatica con cui gli individui giudicati brutti crescono, lavorano, amano, vivono, in una cultura dove l’aspetto fisico ha un’importanza spropositata ed è il bersaglio privilegiato dell’offesa e dello scherno, che non ha pari in nessun’altra caratteristica umana.
Dott.ssa Lucia Montesi
Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Tel. 339.5428950